mercoledì 27 febbraio 2013

Il dottor Stranamore

Il 1977 italiano raccontato da Lucia Annunziata
4. Il dottor Stranamore




Il ’77 è la stagione dell’odio. Dalla conflittualità politica e alle differenze di opinioni (anche su simili posizioni politiche) si è passato alla lite, allo scontro: all’odio. E a questa catastrofe, come si è visto, si arriva anche in seguito a un percorso interno della sinistra.
Lucia Annunziata si chiede: ma ci sarebbe stata una simile escalation se ci fosse stato qualcun altro a fare il ministro degli interni al posto di Francesco Cossiga (che lei chiama, dandogli, quindi, del mezzo pazzo, al dottor Stranamore)?
Sembra quasi che Cossiga veda lo scontro con la piazza come qualcosa di personale, a cui si rivolge direttamente con dichiarazioni forti.
La prima avvisaglia dello scontro frontale tra ministro degli interni e autonomi lo si ha durante una manifestazione del 2 febbraio a piazza indipendenza a Roma, dove “assistono” agenti in borghese armati, che diverranno poi una presenza costante.
Ci si chiede se una simile mossa sia saggia e se il PCI avesse dato il suo consenso a tali azioni.
Gli agenti in borghese armati, l’assedio agli attenei occupati, leggi speciali, nuove misure sull’ordine pubblico: tutti fattori che di certo non hanno contribuito a raffreddare gli animi.

Di certo si respirava altra aria rispetto al ’68: tavolini e sedie del bar del centro rotte, auto-riduzione del cinema (si andava in massa e non si pagava il biglietto), corsi di auto-difesa e costruzioni di molotov. E le donne, angeliche nel ’68, ne facevano pienamente parte.
Il movimento aveva in una mano un fiore e in un’altra una pietra.

E si arriva all’11 marzo, quando un gruppo di autonomi irrompe ad un’assemblea di Comunione e Liberazione. Scatta l’inseguimento della polizia e lo scontro. Non frontale, ma che porta alla morte di Francesco Lorusso, colpito alla gola.
Gli animi si surriscaldano, gli autonomi chiedono un corteo con i sindacati, ma questi non acconsentono. Intanto il Pci decide di far chiudere Piazza Maggiore dal suo servizio ordine. Piazza Maggiore è il simbolo della democrazia di sinistra: chiuderla agli autonomi equivale porli fuori dalla democrazia.
La risposta non si fa attendere: parte la guerriglia del Movimento, che porterà a infrangere tutte le vetrine delle altre vie di Bologna, viene bruciata la libreria di Comunione e Liberazione e attaccata la sede della Dc e la prefettura, la stazione centrale viene occupata.
Il quadro che si crea è chiaro: il Pci asserragliato a braccia conserto con gli autonomi che si sfogano tutto intorno.

E se fino ad allora il Movimento aveva due anime (una che cercava il dialogo e l’affermazione con la politica, mentre l’altra aveva un animo più populista), anche questi avvenimenti provocano una scissione interna.
Non si sa ancora se quello fosse l’evento clou che portò alla contaminazione brigatista, ma di sicuro qualcuno di loro era presente, ad esempio Francesco Piccioni, ufficialmente delegato sindacale della Cgil scuola.
Anche a Roma si registrano degli scontri.

Quello che esce da quel giorno è un sentimento, tra gli animi meno cattivi, di paura, di consapevolezza che qualcosa è cambiato. Essere militanti nel movimento significa essere a diretto contatto con la violenza.

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