lunedì 12 dicembre 2011

"Sherlock Holmes", di Guy Ritchie

Lontani sono i completi eleganti, il vestiario impeccabili e il volto rasato. Questo Sherlock è un amico dei senzatetto, degli strati più bassi della società, con i capelli spettinati e una perenne barba lunga una settimana.
Notevole l'intuizione di Guy Ritchie, il regista, nel mostrare il metodo analitico di Holmes, attraverso flashforwards immaginari, ottimamente intervallati con scene a rallentatore.

Ma mancherebbe ancora una pennellata finale: che attore usare per rendere interessante una figura (stra-usata) come Sherlock Holmes e renderla interessante nel XXI° secolo?
A ben pensarci è facile: affidate la parte a un Robert Downey Jr. in forma strabiliante.
Downey Jr., finora, è sempre stato un ottimo artigiano del cinema, riuscendo a spiccare solo in rare occasioni. Una, sicuramente, è stata in "Fur", anche se restava surclassato dalla sublime presenza (e bravura) di un'ottima Nicole Kidman.
In "Sherlock Holmes", invece, Downey Jr. ingrana la quinta, donandoci un Holmes un po' nevrotico ma che brilla di energia.
 
Ritchie prende spunto dalla sottile ironia che offre un personaggio dotato di una simile intelligenza ed eccentricità e la spiattella in faccia allo spettatore, il quale non si annoierà non grazie ai numerosi momenti di azione, quanto, piuttosto, ai frequenti momenti di ilarietà ai quali è succube Sherlock, soprattutto dovuto alla sua logorrea continua.

E non dimentichiamo un silenzioso personaggio, di grande aiuto per l'ambientazione dell'intera storia: mai si era vista una Londra tanto nebbiosa e grigia, la quale colpisce lo spettatore, ammirato da questo continuo senso di crepuscolo, dove il sole fa raramente capolineo nelle strade.

"Sherlock Holmes" è un ottimo esempio di un film d'avventura e azione, che sa pescare nel passato e mischiare i generi, producendo così un lungometraggio divertente e avvicente, capace di affascinare lo spettatore.

Mauro Biancaniello

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