C’è gente nata per esser furba, c’è
gente nata per subire. E c’è gente che si ritrova ad esser fuori dagli schemi. Fuori
dalle idee dei partiti, dei sindacati, che hanno dentro la voglia di lottare,
che nell’operaio, con le mani sporche, vedono l’uomo, non un numero.
Bernassa è uno di questi; tosto,
tutto d’un pezzo. Che ha lottato per anni, per sé e per gli altri operai, senza
secondi fini.
Ma ormai è stanco.
Anche se ha ne vinte molte, è stato
sempre a fatica.
Anche se adesso tutto va bene, c’è
sempre un qualcosa che turba la quiete.
Bernassa è stanco, e, forse, sta
pensando di mollare…
Un libro su cui non bisogna
soffermarsi a pensare durante la lettura, bisogna immergersi in questa storia
di un operaio (e di una fabbrica), in cui citazioni latine si mischiano col turpiloquio
della classe operaia.
E se anche il passato e il futuro si
mischiano confondendosi al lettore non deve importare.
Perché sarà anche un romanzo, ma è
un romanzo scritto da uno che le mani se l’è dovute sporcare, che all’università
c’è andato quando i suoi figli avrebbero potuto diplomarsi.
Vi è dentro una potenza, in questo
libro, una sincerità che trasuda umanità, che ci mostra ragionamenti diversi,
senza prendere posizione.
E che diverte.
Dannazione se diverte questo libro.
Lontano dalle pippe mentali sul
potere operaio scritto in modo intellettualoide, qui il lettore si trova
davanti alla realtà, che, se la si dipinge bene, sa anche far sorridere.
Stiamo parlando di "Mammut" di Antonio Pennacchi - pubblicato da Mondadori
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