martedì 17 luglio 2012

Dalla necessità di una rivolta nasce un viaggio

Il teatro di Pippo Delbono
2. Dalla necessità di una rivolta nasce un viaggio



Pippo Debono nasce il 01.06.1959 a Varazze (provincia di Savona), inizia a studiare teatro al liceo, ma non riesce, poi, ad accedere alla Scuola del Teatro Stabile di Genova; quindi s’iscrive alla facoltà di Economia e Commercio.
Aveva seguito le medie in un collegio gestito da preti, soffrendo soprattutto del rapporto con il sesso.

Il liceo, almeno all’inizio, lo porta a mascherarsi sempre più, a cercare di somigliare a quello che viene definito un “bravo ragazzo”. Anche se negli anni ’70 la politica era al centro dell’attenzione, Delbono non se ne cura, non prendendo parti. Poi, a 18 anni, conosce Vittorio.

Lo incontra, come narrerà poi anche nel suo spettacolo “Il tempo degli assassini”, in un bar: “un giovane che stava bevendo una bottiglia di birra (…), molto elegantemente”

Delbono inizia ad esprimere la sua diversità profonda, soprattutto in campo affettivo e sessuale, rispetto a quella che alcuni chiamano “normalità”.Sempre più insofferente verso la borghesia e convenzioni, inizia un viaggio, durato 10 anni, nella trasgressione, tra moto, musica, droga e poesia.
Delbono avverte subito la voglia di viaggiare, spingendosi, con amici fidati, in vespa fino in Inghilterra, in Marocco e in Turchia (viaggio che farà nei suoi 17 anni). Ma, principalmente, con lui c’era sempre Vittorio.
Partivano senza programmare: facevano lo zaino e si assentavano il giorno dopo per un mese o due.
 
Il rapporto con Vittorio Delbono lo descrive come un’amicizia fortissima, piena di amore e odio mescolati assieme.
E anche se Vittorio lo introduce al sesso, alla zuffe e alle droghe, Delbono non lo segue quando l’amico inizia a bucarsi.
Era come se Vittorio avesse bisogno sempre di “stare fuori”, bisogno che Delbono condivideva solo in parte.
Intanto Delbono inizia a studiare teatro alla Scuola di Teatro di Provincia, seguendo una passione che lo rincorreva da tempo, lì conosce Pepe e ne rimane subito affascinato.
Vittorio, invece, non s’interessa affatto di teatro.
A parole (ma solo a parole) non impedisce all’amico di fare teatro (e di rimanere, così, a contatto con Pepe), ma, ad esempio, accade che gli nasconda il portafogli per impedirli di partire per un laboratorio teatrale.
Vittorio muore nell’estate del 1983: dopo un incidente con la moto (la moto gliela aveva prestata lo stesso Delbono dopo che l’amico aveva insistito molto), Vittorio finisce in coma.
Delbono, ancora residente a Varazze, ogni giorno si fa 40 km solo per andare a trovarlo.
E se Delbono stesso definisce Vittorio come un angelo violento, anche se ammette di parlare spesso solo delle esagerazioni del suo caro amico, chiarisce bene che tra loro vi era un rapporto profondo, con mille risvolti positivi e pieni di luce.
Delbono vede in Vittorio l’inizio della strada, quello che ha falciato il prato con violenza, affinché egli potesse poi percorrere il cammino. Forse non con la stessa violenza dell’amico, ma una strada verso la quale era più portato rispetto a quella della sua precedente vita.

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