Intriso di una silenziosa poesia, "Preferisco il rumore del mare" ci
parla dell'incomprensione, di come sia difficile comunicare i propri
desideri, di come ci si lasci condizionare dalla maschera che assumiamo
per muoverci al meglio (o, almeno, così crediamo) nella nostra vita.
Ma
è un'arma a doppio taglio, una prigione volontaria che poniamo tra noi e
gli altri e che ci può rendere incapaci di comunicare davvero...
Un bravissimo Silvio Orlando ci mostra il suo lato più serio,
lontano dallo stereotipo del tipo un po' matto e sempliciotto a cui ci
ha abituato, per tuffarsi nel ruolo dell'imprenditore miope ed egoista,
persino nei confornti del suo stesso figlio.
Colpisce la lentezza con cui i personaggi principali si muovono in
questo film; incuranti delle situazioni di urgenza e di emergenza, i
loro gesti sono precisi ma lenti, quasi innaturali.
Quasi fosse un simbolo di come, a volte, i gesti siano servi dei pensieri, a loro sottomessi.
Forse dipende dall'atmosfera del film, in cui si mostra chiaramente come
l'inazione sia un azione importante, che definisce il nostro modo di
affrontare (e vivere la vita).
Per una volta la trama diventa succube dell'emozione, relegando la
"storia" in un angolo, concentrandosi, invece, sulle azioni (o
inazioni), sui sentimenti (che vorrebbero nascondere) dei personaggi.
Un ottimo film scarsamente conosciuto, della giusta lentezza; sarebbe un dispiacere perdere l'occasione di vederlo.
Mauro Biancaniello
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