Era il 6 maggio del 2009: a 35 miglia a sud di Lampedusa, si avvicinava
una nave con a bordo circa 200 persone di nazionalità somala ed
eritrea, tra cui bambini e donne in stato di gravidanza. Il loro
obiettivo: arrivare a Lampedusa.
Ma il loro viaggio subì una brusca interruzione: le autorità
internazionali intercettarono l'imbarcazione e quindi, i migranti furono
trasbordati su imbarcazioni italiane e riaccompagnati a Tripoli contro
la loro volontà, senza essere prima identificati, ascoltati o
preventivamente informati sulla loro effettiva destinazione. Tali
affermazioni trovano riscontrano dalle diverse testimonianze raccolte
dall’UNCHR (l'agenzia delle Nazione Unite rivolta ai rifugiati) e da Human Rights Watch.
Immediata la reazione di Laura Boldrini, raccolta da panorama.it: “(...)
la situazione ci preoccupa enormemente (...) A queste persone non è
stata data possibilità di fare domanda d’asilo. La Libia non è un paese
democratico e non ha ratificato la convenzione di Ginevra. La sua
applicazione del diritto d’asilo è quantomai insufficiente, mentre il
50% dei richiedenti asilo sbarcati a Lampedusa l’anno scorso ha
ottenuto protezione dall’Italia (...)”
Di altro avviso l'allora Ministro dell'Interno, Roberto Marino, il
quale, secondo quanto riportato da repubblica.it, affermava: "(...) può
rappresentare una svolta nel contrasto all'immigrazione clandestina. Un
risultato storico (....) un nuovo modello di contrasto in mare di chi
cerca di arrivare illegalmente (...) non ha a che fare con chi chiede
asilo: i clandestini non arrivano sul territorio nazionale ma vengono
respinti alla frontiera, valutare le richieste di asilo non è quindi
compito del governo italiano (...)".
Sono passati quasi 3 anni, durante il quale oltre 20 dei migranti sono
stati rintracciate e, quindi, insieme agli avvocati Anton Giulio Lana e
Andrea Saccucci (dell’Unione forense per la tutela dei Diritti Umani),
si sono rivolti alla Corte per i Diritti umani di Strasburgo.
La sentenza è giunta ieri, 23 febbraio 2012:
Lo stato italiano è stato condannato per la violazione dell’articolo 3
della Convenzione sui diritti umani, in quanto i ricorrenti furono
esposti al rischio di maltrattamenti in Libia e al rimpatrio in Somalia o
Eritrea.
Inoltre è stato violato l’articolo 4 del Protocollo n.4 della
Convenzione, (proibizione dei respingimenti collettivi), e l’articolo 13
della medesima Convenzione, dovuta all'impossobilità per i ricorrenti
di presentare dei reclami prima che venisse applicato il provvedimento
di espulsione.
Questo comporterà, tra l'altro, il versamento di un risarcimento, da
parte dello stato italiano, di 15'000 Euro (più le spese processuali) a
22 dei 24 migranti.
Cosa se ne deduce? Che anche gli stessi stati non possono agire
contrariamente alle leggi stabilite del comune buon senso e
dell'umanità.
Ma andiamo anche oltre al fatto che "chi sbaglia paga", perché credo
fermamente che, soprattutto in virtù della stessa sentenza, non si debba
certo discutere di chi abbia sbagliato.
Anche se non volessimo vedere la cosa sotto un aspetto umanitario, ma in
ottica pragmatica, possiamo giungere a un'unica conclusione:
l'ennesima mossa precipitosa per generare facile consenso (perlopiù
basata su argomenti disumanizzanti come la xenofobia e il razzismo)
porta a delle conseguenze. E a qualcuno non frega niente di cosa abbiano
dovuto patire quelle persone, dovrà pur riconoscere che un tale gesto
viene quindi pagato dalla collettività. L'ennesimo prestigio personale
celebrato con miopia verso il bene più grande al quale si ha scelto di
aderire. Inoltre, a quanto riferito ieri dal radiogiornale del Sole 24
ore, questi stessi migranti dovranno avere la possibilità di ricevere
asilio in Italia.
In pratica, una scelta azzardata ha come esito un "nulla di fatto", a
cui vanno aggiunti il miscredito internazionale e, non dobbiamo mai
dimenticarlo, la sofferenza a cui sono state sottoposte queste persone,
le quali non potranno essere, per una volta, considerate delle pedine
sulla crudele scacchiera della politica.
Mauro Biancaniello
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