mercoledì 19 ottobre 2011

Premessa alla mitologia greca secondo J.P. Vernant

La mitologia greca secondo J.P. Vernant

1. Premessa

L’origine di questo libro nasce negli anni settanta, quando Vernant ospitava suo nipote e ogni sera, prima che questi andasse a dormire, Vernant gli raccontava una leggenda greca. Negli anni settanta, lo studio delle mitologia aveva il vento in poppa. Ci si trovava a chiedersi cosa fosse un mito greco, e la risposta è che si tratta di un racconto. Bisogna sapere anche però come si sono formati, consolidati, trasmessi e conservati. Nel caso di quelli greci, questi sono arrivati a noi nel momento di declino e sottoforma di testi scritti. Solo all’inizio del 20° secolo si sono recuperati quei frammenti sparsi per riunirle in un solo corpo.
Le leggende greche, per essere capite, devono essere comparate con i racconti degli altri popoli, anche quelli più lontani. È necessario perché quelle tradizioni narrative per quanto diverse presentano fra di loro sufficienti punti in comune per apparentarle. Un mito, da qualsiasi parte provenga, si riconosce per ciò che è senza rischio di confonderlo con altre forme di racconto. In Grecia ad esempio si nota come il racconto storico diverga da quello del mito, in quanto il racconto storico è stato affidato a testimoni affidabili che l’hanno attestato. In quanto al racconto letterario, si tratta di pura invenzione la cui qualità è dovuta a chi lo racconta, quindi in base all’autore accertato di tale racconto. La narrazione del mito è diverso: viene dalla notte dei tempi, ancor prima che vi fossero narratori a raccontarlo, dipende quindi non da un’invenzione personale, bensì dalla trasmissione e dalla memoria. Questo legame con la memorizzazione avvicina il mito alla poesia che, in origine, può confondersi con il processo di elaborazione mitica (vedi le opere di Omero). L’epopea procede da principio come poesia orale, composta e cantata davanti a spettatori, e solo successivamente viene redatta in forma scritta, quando viene stabilito e fissato il testo ufficiale. Ancora oggi un poema non esiste se non è declamato: bisogna conoscerlo a memoria e, per dargli vita, recitarlo fra sé con i vocaboli del linguaggio interiore; nemmeno il mito è vivo se non viene tramandato: se relegato in forma scritta in fondo ad una biblioteca viene trasformato in riferimento dotto per i soli studiosi di mitologia. Memoria, oralità tradizione: sono queste le condizioni di esistenza e di sopravvivenza del mito. La poesia, da quando si è resa autonoma (14° secolo) dai racconti mitici e dalla musica che l’accompagnava, è stata ingabbiata in una rigida struttura in cui le parole devono essere recitate esattamente uguali al testo. Diverso il discorso per il racconto mitico, non fissato in una forma definitiva perché comporta sempre varianti, versioni multiple che il narratore sceglie a seconda delle circostanze (tipo di pubblico o preferenze personali), egli stesso può modificare ciò che gli pare necessario; per tutto il tempo in cui una tradizione orale di leggende è viva essa cambia.
Quando il mitologo analizza un mito, dovrà procedere per gradi: per prima cosa dovrà confrontare le stesse versioni del mito, poi allargarsi a testi di settori diversi della stessa cultura (letterari, scientifici, etc) e poi guardare a narrazioni simili di civiltà lontane. Ciò che deve interessare il mitologo (come anche lo storico e l’antropologo) è lo sfondo intellettuale di cui il filo della narrazione è testimonianza e ciò può essere rilevato solo grazie al confronto dei racconti.
Tornando a Vernant, il piacere di narrare di miti è stato accantonato per un quarto di secolo, quando, nella stessa isola dove trascorreva le vacanze con suo nipote anni prima, degli amici gli chiesero di raccontar loro dei miti. Alla fine l’hanno convinto a mettere per iscritto quanto narrato (con molta fatica). Cosa non facile, perché tale passaggio si è rilevato difficile. C’era l’ovvia differenza tra la mancata similitudine nella trasformazione del racconto orale a quello scritto, sempre diverso e poco efficace se scritto di getto, come anche il fatto che scrivendo ci si deve poi attenere a una sola versione del mito. E poi come poteva dimenticare il ricercatore fatto narratore di essere anche alla ricerca delle fondamenta intellettuali dei miti e, quindi, di dover introdurre nel suo racconto quei significati di cui gli studi avevano fatto misurare il peso?
Un percorso pieno di scogli e pericoli che Vernant crede di aver superato, nella speranza che in queste pagine risuoni l’eco dei miti raccontati un tempo.

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