Cosa ci vuole per ammettere di essere gay alla propria famiglia?
Alcuni potrebbero pensare che nel nostro cosìdetto mondo moderno e democratico sia una cosa da poco. Ma Ozpetek conosce la verità.
In un Italia dove il machismo non è mai passato di moda, avere un gay in famiglia può essere considerato fonte di disonore.
"Cosa dirà la gente?" Par questa la preoccupazione maggiore.
Non conta che questo figlio l'hai cresciuto, che gli hai voluto bene, che era il tuo bene più prezioso...
No, conta solo che tuo figlio è un frocio, un ricchione. Ma mai un omosessuale, d'altronde è un termine che traspare dignità.
Ozpetek, da grande artista, ci gioca con questi preconcetti, che si spera divengano parte di ricordi di epoche passate. Mischia con grande abilità la poesia con la rabbia, il divertissement con le emozioni.
E, come sempre, ci offre dei personaggi che sfuggono all'omologazione, che si mostrano in tutti i loro difetti, seppure capace di compiere grandi gesti.
"Mine Vaganti" è un film che dimostra che il cinema italiano ha ancora molto da dire quando usa delle storie semplici, ben inserite nella vita quotidiana di questa nazione dal grande cuore, murato, troppo spesso, da tradizioni e modi di pensare superflui rispetto alla grandezza dell'animo umano. Ed è ironico che un uomo che è italiano solo di adozione riesca a cogliere splendidamente le nostre contraddizioni.
Mauro Biancaniello
Stiamo parlando di "Mine vaganti", regia di Ferzan Ozpetek
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