La notizia della vincita del (centro)destra in Cile alla recente corsa presidenziale mi ha fatto venire un brivido freddo lungo la schiena.
Tutti noi ricordiamo l'11 settembre cileno, forse meno sbandierato, ma le cui conseguenze si sono estese per lungo tempo.
E mi sono chiesto: perché questa svolta?
I risultati parlano chiaro: Sebastian Piñera, a capo della Coalición por el Cambio (alleanza elettorale dei partiti di centrodestra) ha vinto il ballottaggio per la presidenza con il 52% dei voti. I restanti 48% hanno votato per Eduardo Frei il candidato della Concertacion (centrosinistra).
Una vittoria, senza dubbio, seppure sul filo del rasoio (parliamo di circa 100'000 voti).
D'altra parte la sinistra era al potere dal 1990 (subito, quindi, dopo l'atroce dittatura di Pinochet) e quindi in un periodo di incertezze mondiali come quello degli ultimi anni già basterebbe a fornire una (debole) motivazione al risultato.
Ma vi è altro: Frei era già stato presidente del Cile dal 1994 al 2000, quindi, oserei dire, ricandidarlo a distanza di quasi 10 anni non sarà certo sembrata una mossa innovativa. Infatti la sua rimonta elettorale ha avuto un'impennata dopo che il giovane (è nato nel 1972) Marco Antonio Enríquez-Ominami, ben più radicale e innovativo esponente indipendente legato di chiara tendenza a sinistra, è stato escluso dalla corsa.
Resta il fatto che la presidente uscente Michelle Bachelet (anche lei di sinistra) a poco distanza dalla fine del suo mandato aveva l'80% di preferenze, inoltre il Cile dal 1990 è andato per anni in costante crescita, divenendo un paese moderno, con un'economia, fino a poco tempo fa, prosperosa e dinamica che ha ridotto la povertà.
E allora cosa è successo? Perché questa sconfitta?
Perché i due programmi elettorali non erano troppo diversi l'uno dall'altro, perché Piñera si è proposto come uomo del cambiamento, contrapposto alla faccia ben nota di un ex-presidente, perché il cittadino medio cileno vuole la maggiore efficienza e minore burocrazia e corruzione, come promesso dal candidato di centrodestra. Anche il rallentamento dell'economia ha influito e la promessa di Piñera del taglio della tasse alle piccole imprese. Carla Gaelfenbein, nota scrittrice cilena, ha ella stessa detto che le aspettative del cittadino medio su criminalità, sicurezza e istruzione non erano state colmate dal governo uscente.
Così la sconfitta di Frei comincia ad avere un senso.
E ora? Ora auguro al Cile che i suoi cittadini ci abbiano visto giusto.
Anche Piñera è soggetto ai conflitti d'interesse (azionista maggioritario della compagnia aera Lan, delle rete televisiva Chilevision e della più nota squadra di calcio del paese - il Colo Colo).
Resta il fatto che non ha detto un chiaro NO all'abrogazione completa sulla legge di amnistia per i crimini commessi durante il regime, in un paese in cui i processi pendenti per quelle atrocità sono ancora centinaia.
Ma un ritorno della vecchia classe dirigente è improbabile. Pur se il presidente del Cile può eleggere egli stesso migliaia di funzionari, di certo Piñera non è uno stupido, sa che la ferita della sua nazione è ancora troppo fresca.
Staremo a vedere, sperando per il meglio.
Mauro Biancaniello
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