domenica 20 gennaio 2013

La grammatica di Dio



Benni, in questa sua raccolta di racconti, appare quasi amareggiato.
Certo, le sue restano storie pur sempre divertenti, tuttavia al lettore non possono che suscitare della commozione.
Come quando viene decisa una guerra civile per poterne raccogliere i frutti economici e politici.
Come quando assistiamo al dialogo tra una gallina pronta al macello e il suo padrone.
O come quando un’indovina prevede disgrazie per il mondo intero, ma l’amore per il suo cliente (il quale va via felice e contento).

Benni ci mostra l’umanità senza ipocrisie, giocando con l’assurdo per metterci di fronte ai nostri demoni. Lo fa con una prosa, al solito, piena d’incanto e si dimostra, ancora una volta, una delle voce più originali del panorama letterario.

Ci sono autori che avrebbero bisogno di 100 pagine per raccontarci quello che Benni riesce a descrivere in due pagine.
Perché è questa la lunghezza dei suoi racconti: 2-5 pagine, non di più.
E il lettore, avido, non riesce a fermarsi dopo un solo racconto, ne vuole ancora… e ancora…
Poi, però, appoggia il libro sul comodino.
“Per stasera basta”, si dice da solo.
Perché se anche il libro è fantastico, mostra racconti di solitudini, di fati avversi che i personaggi stessi contribuiscono a creare. E dopo averne lette due o tre, il lettore comincia a chiedersi: “Ed io? Cosa farei?” Allora chiude agli occhi, cercando di pensare ad eventi allegri, ad estraniarsi da questo mondo reale che lo scrittore è riuscito a mostrare.
E il libro rimane lì… ma non troppo a lungo!

Un Benni splendido, al massimo della forma… solo un po’ cattivo. O forse è l’umanità che non può far altro che essere cattiva?



Stiamo parlando di “La grammatica di Dio” di Stefano Benni 

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