mercoledì 19 ottobre 2011

Guerra degli dei

La mitologia greca secondo J.P. Vernant

3. Guerra degli dei


Ora lo spazio è aperto, il tempo scorre. In basso il mondo sotterraneo, al centro la grande terra, dimora di uomini e animali, con i flutti marini e il fiume Oceano che circonda il tutto; al di sopra un cielo fisso, regno degli dèi. Seppure abbiano anche la terra a disposizione, i figli di Urano, del cielo, fissano nel cielo stesso la propria dimora, dove dimoreranno loro e anche le divinità minori (come, ad esempio, le Naiadi e le Ninfe dei boschi).
I figli di Urano sono da lui stati chiamati Titani, ma sono noti anche Uranidi, ovvero “figli di Urano”. Essi sono comandati dal loro fratello minore, Crono, dio astuto, scaltro e crudele, colui che ha castrato il proprio padre e, così facendo, ha dato moto al tempo del mondo. E quindi lui a divenire il re degli dèi e sovrano del mondo. Con lui schierati sono i fratelli e le sorelle: Crono è il loro liberatore. Non solo i Titani sono progenie di Urano e Gaia, dalla loro unione sono nati anche tre Ciclopi e tre Ecatonchiri ( i centobraccia). Mentre Crono permette ai Titani di unirsi e moltiplicarsi tra loro, teme invece un complotto da parte di ciclopi e ecantonchiri e gli imprigiona nel mondo dei mondi, il Tartaro. Intanto Crono prende in sposa sua sorella Rea. Essa è, in apparenza, simile alla madre Gaia, eppure vi sono sostanziali differenze: Gaia, in greco, si chiama Terra ed è la Terra stessa. Rea, invece, ha ottenuto un nome proprio, personale ed individualizzato, che non simboleggia alcun aspetto della natura. Ella è quindi un aspetto umanizzato della terra e quindi differente, seppure Rea e Gaia restino madre e figlia, quindi simili tra loro.

I) Nel pancione paterno

Con l’unione tra Titani viene a formarsi una seconda generazione dei dèi. Anche questa generazione è formata da divinità individualizzate (diverse, quindi, dai primi dèi come Urano e Gaia). Questi “nuovi dèi” hanno i propri nomi, le proprie relazioni e un proprio settore di influenza. Ma Crono, astuto ma sospettoso, geloso e preoccupato di perdere il potere, non si fida dei suoi figli, soprattutto da quando la sua stessa madre lo ha messo in guardia. Gaia, infatti, come madre di tutte le divinità primitive, è dentro ad ogni segreto del tempo e sa quindi anticipare gli eventi che prendono le pieghe del tempo. Ella avvisa suo figlio che corre il rischio di cadere vittima a propria volta di una delle creature, ovvero di un figlio che sarà più forte di lui e che gli porterà via il trono. In questo modo ella declama che la sovranità di Crono è solo temporanea. Dopo aver saputo tale profezia, Crono prende le sue precauzioni ed ingoia ogni figlio che nasce dal suo seme, divorandolo e ricacciandolo nel proprio ventre. Ma questo a Rea non sta bene, proprio come un tempo Gaia non sopportava una simile condotta da parte di Urano.
In un certo senso sia Urano che Crono rigettano la loro progenie nella notte prenatale, non permettono (o non vogliono) che questi loro frutti sboccino alla luce e divengano alberi. Su consiglio della Terra (Vernant non specifica se con Terra intende Gaia, personalmente ritengo si parli del legame che Rea, come per certi versi sua madre, ha con la Terra), Rea decide di intervenire. Quando l’ultimo dei suoi figli, il cui nome sarà Zeus, sta per nascere, Rea fugge a Creta, dove partorisce in segreto. Ella, quindi, usa “contro” suo marito gli stessi trucchi e le stesse bugie che sono parte di Crono, il quale, come abbiamo visto fin dall’evirazione di Urano, è un dio di astuzia, menzogna e doppiezza, Il bambino viene affidato alle Naiadi, che si incaricano di allevarlo, ma anche di allevarlo in una grotta, affinché Crono non possa udire i suoi vagiti. Quando poi Zeus cresce e i suoi vagiti si fanno più forti, Rea chiede ai Cureti, divinità maschili minori al seguito di Rea, di eseguire davanti alla grotta le loro danze guerriere, così che il mescolare di canti e rumore di armi copra i rumori prodotti dal piccolo Zeus. Crono non si accorge di nulla e attende che Rea ritorni col suo ultimogenito, pronto a divorarlo. Ma Rea gli porta una pietra avvolta in fasce. Lo avverte, dicendoli che è piccoli e fragile, di fare attenzione, e così Crono inghiotte in un sol boccone quel sasso che crede esser suo figlio.
Zeus continua a crescere e diviene forte, deciso a far pagare al padre le sue colpe (sia quella di aver ingoiato i figli come anche quella di aver evirato il proprio padre, probabilmente più la prima che la seconda, a mio avviso). Sa che ha bisogno di alleati forti, ma egli è solo. Decide quindi di far rigettare a Crono tutti i figli che porta nel proprio ventre.
Quindi, ancora una volta, è l’astuzia ad entrare in gioco contro un avversario imponente. Un’astuzia dai greci chiamata Metis, ovvero la prudenza, forma d’intelligenza capace di escogitare con anticipo le mosse atte a ingannare chi si ha di fronte.
Sarà Rea stessa a consegnare a Crono la fatidica pozione, spacciata come un sortilegio/medicinale. Di nuovo, quindi, la madre si allea al figlio contro il proprio marito.
Ingoiata la pozione, i figli di Crono vengono rigettati dal suo stomaco, uno per uno, in ordine (chiaramente) inverso rispetto a quando sono stati divorati.
Crono, rigettando i propri figli, replica, a suo modo, la nascita di quegli stessi dèi, quasi come questi fossero “nati due volte”.

II) Un nutrimento di immortalità

Vi sono quindi due schieramenti, pronti per una guerra di potere: da una parte Crono e i Titani, dall’altra Zeus e i suoi fratelli e sorelle, chiamati Cronidi o Olimpici. Questa guerra durerà per circa dieci “grandi anni” (un “grande anno” può avere durata tra 100 e 1'000 anni). Ciascun schieramento ha il proprio accampamento sulla cima di una diversa montagna, Zeus i suoi compagni sul monte Olimpo (da cui il termine Olimpionici). La battaglia, però, sembra non mostrare alcun chiaro vincitore per un lunghissimo periodo, vi sono solo brevi vittorie da ambo le parti, par quasi esserci un equilibrio.
Il mondo, quindi, è teatro di questo conflitto generazionale e da esso occupato e dilaniato. Durante il conflitto appare evidente che, ancora una volta, non sarà lo schieramento più forte a prevalere, bensì quello che saprà usare al meglio ingegno e arguzia, vero punto di forza in questo conflitto che appare infinito.
In questi termini, si vede il passaggio da parte di un titano, seppure di seconda generazione, di nome Prometeo, passare dalla parte di Zeus. Prometeo è figlio di Gepeto, considerato il creatore/progenitore del popolo greco (quindi, secondo, i greci, il creatore della razza umana). Prometeo possiede la metis di cui si parla nel capitolo precedente.
Il punto di svolta nel conflitto ancora una volta è rappresentato dalla “madre di tutto” Gaia, la quale spiega a Zeus che per vincere deve reclutare coloro che ancora non si sono schierati per nessun contendente. Ella si riferisce ai tre Ciclopi e ai tre Ecantonchiri, tutti e sei figli suoi e di Urano, tutti e sei imprigionati da Crono nel Tartaro.
Un appunto: I Titani sono divinità primordiali che possiedono tutta la brutalità delle forze naturali, quindi sono prodotti del disordine, al contrario degli Olimpionici, dèi più raffinati (lo si capisce dalle loro mansioni, più definite e, a volte, vicine alle arti che l’uomo ha sviluppato), razionali e ordinati. Insomma Zeus per vincere ha bisogno anche delle potenze del disordine, forze che non appartengono agli Olimpionici.
Zeus scioglie libera i Ciclopi e gli Ecantonchiri, i quali, in cambio, danno la disponibilità ad aiutare Zeus. Essi però pretendono ancora una cosa: il diritto di assaggiare nettare ed ambrosia e quindi nutrirsi di immortalità. Infatti ciò che caratterizzava gli Olimpionici è che essi non si nutrono di cibo “normale”, bensì assimilano il nutrimento d’immortalità, un tipo di cibo, quindi, che permette a chi ne consuma di non conoscere la fatica, una fonte di energia che non termina mai, al contrario del cibo umano, limitato nel tempo e nella funzione di donatore di energia..
Quindi donando ai Ciclopi ed Echintochiri ambrosia e nettare, Zeus conferma la loro appartenenza al mondo divino.
Ma qual è il contributo di queste sei entità?
I Ciclopi possiedono un solo occhio, ma è un occhio di fuoco. Da fabbri essi, con l’aiuto di Gaia che loro fornisce l’attrezzatura, donano a Zeus la padronanza del fulmine. E come il loro unico occhio, anche Zeus acquisisce una sorta di “terzo occhio invisibile”, lo sguardo con cui fulmina (seppure con l’uso della sua mano) con furia divina.
Gli Echintonchiri sono i cento braccia, sono di stazza notevole e dotati di forza incredibile, pari a quella di cento braccia.
Zeus ha quindi due nuove armi a disposizione: l’occhio che fulmina e un’enorme forza bruta.
Quando Zeus attacca i Titani con il suo occhio e scaglia contro di loro gli Ecatonchiri, il mondo regredisce a uno stato caotico, con il crollo di montagne e lo spalancamento di voragini tanto grandi che dalla profonda notte del Tartaro inizia salire la nebbia.
È come se la Terra fosse tornata al suo stato primordiale, di caos, e quindi è come se Zeus, con la sua vittoria, formasse la Terra nuovamente.
Da come Zeus ha impostato lo scontro (occhio che fulmina l’avversario, forza bruta che lo schiaccia) si capisce il suo modo di regnare, ovvero il mettere in catene (seppur virtuali) l’avversario. I Titani cadono, colpiti dalle armi di Zeus, e dagli Ecantochiri vengono schiacciati sotto un cumulo enorme di pietra, sotto i quali non possono più muoversi. I Titani, la cui potenza si manifesta con mobilità e costante, sono così ridotti all’impotenza, senza possibilità di manifestare la loro forza. Gli Ecantochiri gli prendono, sconfitti, e gli cacciano nel Tartaro, prigione perfetta dove nulla si distingue, voragine spalancata sulla profondità della terra. Affinché i Titani non possono fuoriuscire dalla loro prigione, Poseidone, fratello di Zeus, costruisce un baluardo intorno alla strozzatura che unisce il mondo al Tartaro, una triplice cinta di muraria in bronzo. Gli Echintochiri resteranno dall’altra parte del muro, sulla Terra, in veste di guardiani delle mura.
I Titani, le vecchie divinità, sono quindi state gettate dalla generazione successiva in una buia prigione da cui non potranno mai più risalire fino a vedere di nuovo la luce del mondo.

III) La sovranità di Zeus

Prima che la battaglia giunga al termine di cui al capitolo precedente, un altro titano si è aggiunto nelle file degli Olimpiani: si tratta del dio Stige. Esso è la divinità del fiume Stige, che scorre nelle profondità della terra, penetra nel Tartaro per poi riaffiorare in superficie. Le sue acque, piene di potere, portano alla morte chiunque la beva.
Con sé Stige porta i suoi due figli: Crato (Kratos) e Bia (Bie).
Crato è il dio del potere del dominio, che soggioga e si impone sugli avversari.
Bia è la della violenza.
Una volta ottenuta la vittoria, Crato e Bia diverranno la scorta di Zeus, l’uno per il potere di sovranità universale, l’altro per la capacità di scatenare una violenza talmente potente da infrangere ogni difesa.
Al termine del conflitto e ponderando la situazione, gli Olimpionici decidono che la sovranità spetti a Zeus. Analizziamo quindi di seguito come si comporta questo nuovo sovrano:
Egli costruisce un universo divino organizzato e ordinato (anche in base alle gerarchie, dovute alle spartizioni di potere che egli ha deciso suddividere tra gli Olimpionici). Proprio per il fatto di essere cosi organizzato, il regno di Zeus sembra favorito nel restare a lungo. Quindi il regno di Zeus è diverso da quello di Crono (e anche da quello di Urano): egli non si proclama sovrano divino ma viene scelto dai suoi pari.
Urano, il cui unico scopo è accoppiarsi con Gaia, non possiede astuzia. Inoltre egli, coprendo Gaia, ha impedito che i suoi figli vedessero mai la luce.
Crono ha ingurgitato i suoi figli appena nato e, di conseguenza, ha voluto imprigionare i suoi figli per paura della detronizzazione, il che puo anche essere visto come volontà di conservare il potere, di far permanere lo stato delle cose in un cristallo sempre eguale.
Quindi Urano è brama maschile, incapace di pensare al tradimento della moglie sottomessa, Crono è politica e conservazione del potere, Zeus è arguzia e astuzia.
Zeus, inoltre, è diverso dal padre in quanto quest’ultimo esercitava una specie di dispotismo, ben diverso dal sistema di uguaglianza e di alleanza tra pari (in cui, comunque, Zeus viene eletto primo) che suo figlio esercita durante il suo regno.
Quindi Zeus spartisce, in piena meritocrazia, gli onori e gli oneri degli dei. Anche a quei Titani restati neutrali egli garantisce continuità, invece di scacchiarli per rappresaglia.
Così fa con Oceano che continua a vegliare sulle frontiere esterne del mondo con la sua cintura liquida.
Della titana Ecate Zeus addirittura accresce i privilegi. Dea della Luna (e quindi prettamente femminile), è una divinità né celeste ma neppure terrestre, inserita in un mondo divino maschile organizzato. In questo contesto Ecate è un elemento di gratuità, di vaghezza. Può offrire e negare i suoi favori e, poiché non ha affiliazioni, non può essere ritenuta per questo legata a qualcuno. Mentre Zeus e Gaia regolano lo scorrere del tempo e conosco con un certo anticipo il futuro, Ecate è un fattore x, che permette al mondo di funzionare in modo un po’ più libero.

Quindi il regno di Zeus è creato, stabilito e stabile. Tuttavia anche egli sa che non sarà sempre al culmine della potenza, che i propri figli, come successe al nonno e al padre, nascono forti e potenti, che uno di essi potrà prendere il suo posto. Un modo di mantenere il potere è creare un sistema talmente forte, talmente sicuro da non poter essere minacciato da nessuno, per non essere detronizzato egli dovrà divenire un’incarnazione della stessa sovranità e, con questo, non temere alcun altro contendente.
Proprio a questo scopo egli, per rafforzare la sua posizione di regnante, stipula il matrimonio che vedremo nel capitolo seguente.

IV) Le astuzie del potere

La prima sposa di Zeus si chiama Meti (Metis). È la dea del Metis, l’astuzia, la scaltrezza, la capacità di prevedere. Metis è un titano, un’Oceanide, per la precisione.
Presto concepiscono un bambino e Zeus, subito, pensa al pericolo che corre di essere detronizzato. Per evitarlo egli capisce che non può avere Meti solo come compagna, ma che egli stesso deve divenire Metis e possedere così la scaltrezza per restare sovrano. Presto gli è chiaro che per divenire Metis deve averla dentro di sé, ingoiarla come faceva Crono con la sua progenie. Ma farlo non è facile, come molte divinità di acqua ella possiede il potere della metamorfosi. Zeus, quindi, decide di sfruttare quello che potrebbe essere uno svantaggio a suo favore: Le chiede di assumere diverse forme, prima potenti, poi la fa trasformare in una goccia d’acqua che egli, prontamente, ingoia.
Così Zeus ha fatto sua la Metis, ma anche la creatura che era nel ventre di Meti. Quando la gravidanza giunge a termine, la creatura preme per nascere dalla testa del padre, non potendo uscire dal ventre della madre.
È, a mio avviso, significativo che la creatura di Metis nasca dalla testa, sede del cervello e dell’intelligenza.
Zeus, in preda a un lancinante dolore alla testa, chiede aiuto a Prometeo ed Efesto. Essi accorrono con una doppia scura e colpiscono Zeus sul capo. Dal cranio aperto di Zeus nasce Atena, giovane vergine già bardata con armatura, lancia e scudo. Atena sarà la dea ricca di inventiva e di astuzia.
Con l’assunzione di Meti e con quel parto, Zeus è divenuto la Metis in persona: possiede astuzia e una viva prudenza. Niente potrà più sorprenderlo e il suo trono è quindi garantito nel tempo.

V) Madre universale e Caos

Terminata la guerra degli dèi, Gaia genera un nuovo figlio: Tifeo (anche detto Tifone).
Suo padre è Tartaro, colui che scorre alle appendici di Gaia.
Quindi quando i suoi nipoti hanno deciso di imprigionare nelle profondità (il Tartaro, appunto) la generazione precedente e di vivere su un monte, a stretto contatto con il cielo, Gaia con quella profondità genera un figlio, quindi si mette agli antipodi del cielo dove regna Zeus e i suoi compagni.
Qui ritroviamo il suo ruolo equivoco, frutto del suo stesso essere: madre universale che concepisce con Urano la stirpe degli dèi, che tutto vede e tutto prevede. Ma anche la terra nera, primitiva, figlia del caos primordiale. Gaia, come la terra stessa, è una creatura di luce e di buio. E i suoi nipoti hanno scelto unicamente la luce, il chiarore, la vicinanza al sole, ripudiando le tenebre dove imprigionano i loro padri.
Probabile che Gaia sia risentita di questo sistema di regnare, di questo modo di vivere che con il Caos, da cui tutto è nato, si separa nettamente. Forse per questo genere un figlio con Tartaro. Questo figlio rivoluziona il sistema che Zeus ha voluto creare. Tifone è un essere terrestre, quindi ctonio. Chton è la terra nel suo aspetto più oscuro e notturno, non la terra generatrice.
È una specie di animale che comprende aspetti umani e disumani assieme. Possiede cento teste di serpente, ognuna con una lunga lingua nera e con un paio di occhi da cui saetta una fiamma ardente.
Egli possiede una forza spaventosa, la forza del Caos inteso come stato primordiale. E una creatura del movimento, della mobilità, d’altronde è figlio proprio della stessa terra su cui egli si muove. E infatti non si ferma mai, sferrando colpi a destra e a manca. Una vera forza della natura.
Parla la lingua degli dèi, degli uomini e perfino quella delle bestie.
Egli è, in sintesi, una rappresentazione di tutto ciò che esiste sulla terra.
È chiaro che egli rappresenta il primordiale e che si dovrà scontrare con Zeus, sovrano della stabilità e della metis.
E se Tifone vincesse, la guerra preciterebbe di nuovo nel caos, che non sarebbe quello primordiale, ma una sorta di confusione generale delle cose.

VI) Tifone ovvero la crisi del potere supremo

Lo scontro tra Zeus e Tifone ha luogo e, in tutte le numerose versioni, sta di fatto che è sempre Zeus a uscirne vittorioso. In molte versioni è proprio la metis di Zeus o dei suoi alleati a vincere contro l’avversario, altre invece uno sfogo di forza bruta da parte di Zeus e del suo occhio fulminante. Sia la metis che l’occhio fulminante possono essere visti, a mio avviso, come le due armi più straordinarie in possesso del dio: da una parte l’astuzia, dall’altra un occhio onniveggente, capace di vedere tutto e punire ciò che al sovrano non aggrada.
Nonostante le numerose versioni dello scontro, permane sempre la stessa morale:
Una volta stabilito un potere che governa, sopravviene sempre una forza contraria capace di mettere in serio pericolo ciò che si era costruito e che appariva duraturo.
Ma dopo la sfida con Tifone una nuova minaccia si contrappone a Zeus, come vedremo nel capitolo che segue.

VII) Vittoria sui Giganti

I Giganti, per certi versi, sono simili agli Econtronchiri: essi rappresentano la forza fisica e l’ordine militare.
Essi nascono dalla terra, già adulti e armati (il simbolo del guerriero adulto).
Ma al contrario dei cento braccia, essi si chiedono perché non hanno loro stessi il potere, visto che rappresentano la forza delle armi, la violenza, il vigore del corpo e della giovinezza. Dapprima combattano, nella loro brama di guerra, tra di loro, poi decidono di dichiarare guerra agli dèi.
È una guerra apparentemente senza fine. Tutti gli olimpici (quindi non solo Zeus) attaccano e infliggono danni ingenti, ma i Giganti recuperano e tornano all’attacco. Il loro vigore è simbolo di una vita sempre rinnovata: la virilità guerriera. E poi sono a metà strada tra mortalità ed immortalità, quindi sono come ragazzi, dalla grande energia ma di cui non è decisa la posizione nel mondo.

VIII) I frutti effimeri

Per avere la vittoria contro questi Giganti, a metà strada tra mortalità ed immortalità, gli Olimpici chiedono il sostengo di un semidio, Eracle (Ercole). Figlio di Zeus e di una madre umana, egli non è ancora asceso all’Olimpo, quindi resta in parte umano. Dotato di grande potenza, Eracle fa grandi danni, ma ancora una volta la vittoria non appare certa.
Gli Olimpici scoprono che essi ricevono l’aiuto di Gaia: ella coglie delle erbe che crescono durante la notte e donano l’immortalità. In questo modo i Giganti non potranno mai essere sconfitti.
Di nuovo Gaia assume un ruolo ambiguo: ella non vuole che i suoi figli Giganti, nati dalla sua stessa terra già formati, vengano soppressi, bensì spera in una pacificazione tra le parti e in una loro accettazione. Ma Zeus, saputo della cosa, annienta tutti i fiori e, quindi, ai Giganti non è più dato modo di sopravvivere alle ferite inferte, quindi moriranno uno ad uno.
Da questi racconti diventa chiaro come la divinità non sia dono scontato, come essa sia generazionale e deve essere mantenuta con il nutrimento (l’ambrosia, l’erba immortale). Zeus offre questo dono ai suoi alleati, mentre lo nega a chi vuole prendere il suo posto.

IX) Il tribunale sull’Olimpo

Terminata la guerra contro i Giganti, il regno di Zeus si può definire come definitivamente instaurato.
Ma riassumiamo quanto accaduto, perché nella storia di questa mitologia viene mostrato come luce e ombra si fondano e confondano:
Perché potesse essere un mondo differenziato, Crono dovette mutilare Urano. E se da questo è nato il periodo dell’oro, all’apparenza pieno di gloria e immutevole, vi è da aggiungere che quest’atto di violenza ha generato sia Afrodite (che spunta dal mare) come anche le Erinni (la maledizione di Urano contro i suoi stessi figli).
E mentre molti figlia di Gaia sono simbolo di luce e democrazia, abbiamo visto come essa abbia anche generato Tifone e Giganti.
Non parliamo poi di Caos, che ha generato Notte e tutta la sua discendenza dai tratti malefici (la Morte, la Malattia, la Vecchiaia, etc.)
Ma anche un esempio di luce quale Afrodite contiene in sé dei semi bui: la travolgente lussuria, la potenza ammaliatrice del sorriso delle fanciulle.
È un mondo, quello della mitologia greca, dove i confini tra luce e buio sono molto labili.
Forse proprio per questo Zeus allontana dal mondo divino tutto l’oscurità, rilegando la violenza, la mortalità e la malattia al mondo degli uomini. Certo, ci potranno essere conflitti sull’Olimpo, ma la struttura è così organizzata, il regnante così saldo, che non sfocerà mai in guerra aperta.
Ma per evitare ogni evenienza, si crea un sistema per sfogare le dispute tra dèi: quando una disputa tra due dèi sta degenerando, viene organizzata una grande festa. A tale festa viene invitato sempre anche Stige, che porta con sé una brocca piena dell’acqua del suo fiume. I due contendenti spargono quindi il liquido per terra, poi entrambi giurano di non essere causa della disputa e che la loro ragione è quella giusta. È ovvio che qualcuno dei due mente. I due litiganti bevono quell’acqua e chi ha mentito cadrà in coma, in una specie di profondo letargo. Un immortale non può morire, ma restando così, in questo torpore, è come se perdesse tutti i privilegi divini. Al suo risveglio, il caduto non ha diritto né a partecipare ai banchetti degli dèi, tantomeno a nutrirsi dell’ambrosia necessaria a far rifiorire l’immortalità.
Anche questo è un modo per mostrare come Zeus ha ben salde le redini del suo regno, prevenendo dispute che potrebbero sfociare in guerre.

X) Un male senza rimedio

Tifone, vinto, è seppellito nel Tartaro, anche lui ivi rinchiuso come i Titani. Alcuni dicono che Tifone sia proprio sotto il sotto vulcano Etna.
Ad ogni modo Tifone, pur imprigionato, fa sentire la sua forza:
scosse telluriche, vulcano attivi, burrasche nei mari. Da esso sono nati venti violenti, diversi dai venti, rappresentati dalla stirpe divina di Noto, Borea e Zaffiro.
Quindi anche sconfitto Tifone fa sentire la propria forza sulla terra, la forza del Caos.
Ed è dimostrazione che bandendo il Caos dall’Olimpo gli dèi non l’hanno sconfitto, ma solo rimosso. Esso è presente come male senza rimedio che ricade sulle spalle dell’umanità.

XI) L’età dell’oro: uomini e dèi.

Ma cosa accade all’uomo mentre infuria la guerra degli dèi? La storia dell’umanità non inizia con la creazione del mondo, bensì la loro storia viene narrata solo quando Zeus è già insediato sull’Olimpo.
Ma facciamo un passo indietro, all’età dell’oro, durante il regno di Crono, prima che avvenisse la guerra tra dèi.
Gli dèi stanno principalmente sui loro monti, come l’Olimpo, ma dividono con gli uomini (i quali sono stati già creati) degli angoli di mondo.
In particolare dèi e uomini in questa prima fase della loro relazione si incontrano su una pianura vicino a Corinto, chiamata Mecone (Mekone). Lì essi si incontrano, banchettano in compagnia seduti alla stessa tavola e facendo feste comuni, con il sottofondo delle Musa che cantano la gloria di Zeus e le avventure divine.
Ciò sta a significare che ogni giorni in cui dèi e umani si incontrano è giorno di festa e felicità.
Mecone è una terra da cui tutto nasce spontaneo, non risente del cattivo tempo e delle stagioni.
Ricordiamo che è il tempo di Crono, dove tutto è immobile e fermo. E anche gli uomini (perché non sono ancora state create la donne, pur se la femminilità è rappresentata dalle dee) non invecchiano, né cadono malati. C’è chi dice che anche gli uomini siano frutto di Gaia e che di diritto godano dei privilegi degli dèi.
Non vi era morte, semplicemente dopo centinaia di anni vi erano uomini che cadevano addormentati e semplicemente sparivano. Non vi era morte perché non vi era ancora nascita: senza donne non nascono bambini e senza nascita non inizia il ciclo della vita che si conclude con la morte.
Non vi era lavoro: a Meconte non si lavorava la terra perché ogni mattina era già pronta una tavola imbandita.
Ma finita la guerra tra dèi inizia la vera storia dell’umanità. I dèi si staccano dagli uomini, inizia a scorrere il tempo.
È terminata l’età dell’oro, inizia la spartizione del mondo divino, la quale coinvolgerà, chiaramente, anche l’umanità.

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