Le immagini si susseguono da ieri, scoccanti, violente, vere, come solo la guerra può essere.
È morto un dittatore, che ha messo le proprie mani nel sangue dei suoi cittadini ed, infine, è stato il suo sangue a sporcare le mani di chi l’ha ucciso.
L’accanimento contro il corpo dei tiranni non è certo figlio del XXI° secolo, ma resta un gesto che nulla ha a che fare, a mio parere, con quella che è la civiltà.
Sono immagini che disgustano, ma che stuzzicano la morbosa curiosità umana, che fa attaccare gli occhi al teleschermo. È stata, per me, l’ennesima lotta col mio istinto, quello primitivo, che mi suggeriva la vecchia espressione “occhio per occhio”. Ma è stata una lotta breve. Di certo la mia anima non è stata mossa per il cordoglio, tuttavia mi è sempre più difficile celebrare una morte. D’altronde l’idealismo a volte deve scontrarsi con la realtà ed è chiaro il perché di simili gesti nei confronti di un sanguinario.
Perché seppure non credo sia opportuno gioire per la sua morte, neppure si può negare i crimini che egli, di sua spontanea volontà, ha commesso; nemmeno bisogna dimenticare i suoi continui richiami alla violenza. Se in questa storia vogliamo trovare una morale, resta sempre il vecchio detto: “sangue chiama sangue”.
E in questa frase vi è grande tristezza, una via con un solo senso di percorrenza, che porta dritto al precipizio.
Ed è proprio per evitare, almeno per qualche istante, il richiamo alla violenza, che ho scelto la foto qui riportata tra le tante immagini trovate sulla rete: un’immagine che mostra il suo fare aggressivo, ma non un’immagine di sangue e di violenza. Chiamatelo perbenismo, per me era un’esigenza non aggiungere altro sangue alla nostra vista.
La violenza è genitrice solo di suoi gemelli, in quanto tale può essere condannata ed evitata, forse compresa nel suo contesto, ma mai applaudita.
È morto un dittatore, che ha messo le proprie mani nel sangue dei suoi cittadini ed, infine, è stato il suo sangue a sporcare le mani di chi l’ha ucciso.
L’accanimento contro il corpo dei tiranni non è certo figlio del XXI° secolo, ma resta un gesto che nulla ha a che fare, a mio parere, con quella che è la civiltà.
Sono immagini che disgustano, ma che stuzzicano la morbosa curiosità umana, che fa attaccare gli occhi al teleschermo. È stata, per me, l’ennesima lotta col mio istinto, quello primitivo, che mi suggeriva la vecchia espressione “occhio per occhio”. Ma è stata una lotta breve. Di certo la mia anima non è stata mossa per il cordoglio, tuttavia mi è sempre più difficile celebrare una morte. D’altronde l’idealismo a volte deve scontrarsi con la realtà ed è chiaro il perché di simili gesti nei confronti di un sanguinario.
Perché seppure non credo sia opportuno gioire per la sua morte, neppure si può negare i crimini che egli, di sua spontanea volontà, ha commesso; nemmeno bisogna dimenticare i suoi continui richiami alla violenza. Se in questa storia vogliamo trovare una morale, resta sempre il vecchio detto: “sangue chiama sangue”.
E in questa frase vi è grande tristezza, una via con un solo senso di percorrenza, che porta dritto al precipizio.
Ed è proprio per evitare, almeno per qualche istante, il richiamo alla violenza, che ho scelto la foto qui riportata tra le tante immagini trovate sulla rete: un’immagine che mostra il suo fare aggressivo, ma non un’immagine di sangue e di violenza. Chiamatelo perbenismo, per me era un’esigenza non aggiungere altro sangue alla nostra vista.
La violenza è genitrice solo di suoi gemelli, in quanto tale può essere condannata ed evitata, forse compresa nel suo contesto, ma mai applaudita.
Mauro Biancaniello
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