domenica 20 settembre 2009

SIGNORINAEFFE di Wilma Labate

"Signorinaeffe" è un film davvero ben fatto, in cui i silenzi dei protagonisti fanno più rumore delle (poche parole) che questi scambiano tra di loro. A far molto rumore ci pensa il copratogonista del film, il lungo sciopero alla Fiat degli anni '80.
Per chi, come me, ignorava i dettagli, questo film da molte informazioni, anche grazie ai numerosi estratti dei telegiornali di quel tempo.

Ma quello che più ha colto il mio interesse è il rapporto tra i due protagonisti della vicenda e la loro storia d'amore.
La regista Labate (che ha anche lavorato al copione) compie una scelta a mio avviso coraggiosa; viviamo in un periodo storico in cui tutto deve essere spiegato, in cui due personaggi sul grande schermo devono parlare delle ore solo per riuscire a sfiorarsi le labbra. Come detto, non è questo il caso: Emma e Sergio durante il film parlano pocchissimo, eppure il loro sincero amore traspare ogni secondo.
Molto verosimile il carattere di Sergio, che si innamora e conquista colei che lo ha colpito, salvo poi rendersi conto che non le potrà mai offrire quello che lei aveva prima. È un conflitto interiore, come molti ce ne sono nella vita vera, il fatto di amare profondamente una persona eppure restare nel dubbio che questo amore potrebbe non bastare per affrontare la vita. Perché la vita non è fatta solo di una storia d'amore, vi sono altri fattori che la influenzano: i soldi (e di conseguenza il lavoro), la famiglia, quello che accade alle persone intorno a noi. E quando questi fattori remano contro una storia d'amore nella vita vera una relazione rischia di sbriccciolarsi. Come si sbricciola anche questa di storia d'amore, ma lo fa con dignità, con Emma che sacrifica i sentimenti che ha provato per tentare di non rovinare l'uomo che ama, anche se questo significa ricevere il suo disprezzo. Scelta giusta? Non dovrebbero essere i sentimenti la cosa più importante della vita? Forse così sarebbe in un romanzo rosa, ma non in questo film, crudo non nelle scene bensì nel duro realismo contro il quale fa infrangere lo spettatore.

Come cambia Emma: gonna e stivali, ben vestita e ben curata mentre lavora in ufficio. Quando poi decide di seguire il suo cuore (e non solo il suo amore) per partecipare allo sciopero il viso è meno curato, i capelli anche, indossa dei comodi jeans e delle scarpe basse. Per la prima volta appare se stessa, liberata da un sistema che l'aveva soffocata senza che se ne accorgesse, dalla vita in una casa in cui l'imperativo par essere vivere per lavorare, così ben definito dal padre e dal fratello di lei, che non esitano a partecipare a una ronda contro lo sciopero menando le mani.

E c'è anche lui, personaggio secondario ma fondamentale, il fratello di Emma, che sin dall'inizio appare come un ragazzo come tanti, con dei bei sogni nel cassetto. Ma poi, quando deve mostrare se tenere la parte alla sorella o al genitore, decide di chiudire il cassetto e, in una scena, compie gli stessi gesti del padre quando questi, dopo una sfuriata contro la figlia, mangia il suo piatto di minestrone. Nella cucina sono restati solo loro due, il padre baluardo del lavoratore sfruttato e il figlio, destinato a seguirne le orme.

Lascia l'amaro in bocca questo film, solo l'ultima scena permette di intravedere un barlume di speranza, ma non smette di ricordare una frammento recente della storia italiana e mostra chiaramente come, ancora una volta, la ragione non è dalle parte di chi vince.

Mauro Biancaniello

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