lunedì 2 gennaio 2012

La guerra di Troia

La mitologia greca secondo J.P. Vernant
 
5. La guerra di Troia

I) La guerra di Troia
Più che concentrarsi sulla storia della guerra più famosa della letteratura, Vernant si vuole concentrare sulle cause e i motivi del conflitto.
Tutto inizia con il matrimonio di Peleo, re di Ftia in Tessaglia, e  di Teti,  la Nereide.
Il matrimonio si celebra sul monte Pelio, in Grecia, una montagna molto alta, uno dei pochi luoghi in cui la distanza tra umano e divino è raccorciata.
La sposa, Teti, è una delle cinquanta Nereidi, che con la loro presenza benigna giocano fra le onde del mare e ne popolano le profondità. In quanto divinità marine, fanno propria la proprietà dell’acqua, ovvero hanno sembianze fluide, in grado di trasformarle a loro piacimento.
Teti, quindi, possiede la dote della malleabilità, per certi versi simile al dono di metis (astuzia, conoscenza): la capacità di adattarsi alle situazioni.
Le Nereidi sono figli di Nereo, a sua volta figlio di Ponto, il Flutto marino generato da Gaia e Urano quando è nato l’universo.
La loro madre è Doride, figlia di Oceano, il fiume cosmico primordiale che cinge l’universo.
Grazie alle sue doti, Teti è una creatura incantevole e col suo fascino conquista il cuore di Zeus e Poseidone. Entrambi vogliono sposarla e si scontrano su questo. Poseidone, però, viene a sapere di una profezia: un ipotetico figlio tra Zeus e Teti sarebbe l’unico che potrebbe spodestare Zeus, proprio com’era successo allo stesso Zeus con il padre Crono (vd. capitolo 3).  Anche Zeus scopre il segreto, ma solo in seguito: si narra, infatti, che il prezzo della liberazione di Prometeo sia stato il svelare al padre degli dèi un segreto che lo concernesse e Prometeo, appunto, gli racconta di questa profezia.
Una discendenza tanto potente spaventa i due fratelli/contendenti, che preferiscono interrompere la loro corte e di fare in modo che questa discendenza straordinaria sia generata da un uomo piuttosto che da un altro dio.
Così preferiscono che a sposare Teti sia un umano, il sopracitato Peleo.
Dalla loro unione nascerà colui che sarà la somma di tutti gli eroi guerrieri della mitologia greca: Achille. Come vedremo, sarà una figura centrale di tutta la guerra di Troia.
                                    II) Il matrimonio di Peleo
Ma come hanno fatto gli dèi convincere Teti a sposare un umano? Nemmeno loro possono interferire in simili questioni (questioni anche di “abbassamento di rango”). Dovrà essere un umano, quindi, a conquistare la dea.
Peleo incontra Teti sulla riva del mare. Le parla, poi tenta di afferrarla per portarla con sé. Ma Teti è una creatura marina, capace di cambiare forma. Peleo conosce questa caratteristica, sa anche che per non farsela sfuggire deve abbracciarla stretta, con ambo le braccia, tenendo unite le due mani, qualsiasi cosa accada, qualsiasi forma ella assuma. Così Teti continua a trasformarsi, ma Peleo non la molla e lei, alla fine, esaurisce tutte le forme a sua disposizione, rimanendo nella sua forma di dea.
Si celebrano quindi le nozze, il loro matrimonio avviene sul monte Pelio, come detto un luogo che sancisce la vicinanza tra umano e divino. Sul monte risiedono anche i centauri, col torso da umani e il dorso da cavalli. Grandi saggi e abili strateghi, sarà proprio uno dei loro più illustri rappresentanti, Chirone, a essere tra gli insegnanti del giovane Achille.
Mentre le nozze vengono celebrate, arriva, non invitata, Eris, la dea della discordia, dell’odio e della gelosia. Anche lei, come tutti gli altri presenti, porta un dono. Il suo è un pomo d’oro, segno della passione che si prova per l’essere amato. Getta il pomo tra i regali e subito alcuni notano l’iscrizione sul frutto: “Alla più bella.”
Ed è proprio da quel pomo d’oro che nasceranno i semi che porteranno alla guerra di Troia, come vedremo più avanti.
Ma torniamo al matrimonio: è già particolare per essere un unione tra divino e umano, ma implica anche altro: allo stesso tavolo siedono archetipi opposti, come Ares, dio della guerra, e Afrodite, dea dell’amore e della bellezza. È un matrimonio in cui non si possono avvertire i contrasti tra figure iconiche e, seppure il matrimonio sia una celebrazione, assume, in questo caso, un’aria funesta.
                                    III) Tre dee e un pomo d’oro
Il matrimonio tra Teti e Peleo e passato, resta, però, il pomo d’oro con la sua insegna: “Alla più bella.”
A chi toccherà quel pomo? Chi è la più bella?
Non possono essere gli dèi a decidere, Zeus ha infatti ripartito i doveri e i compiti di ciascun dio. Una sua presa di posizione romperebbe l’equilibrio creato:
Se egli scegliesse Era parrebbe che preferisca sua moglie, se invece fosse Atena favorirebbe la figlia, mentre se nominasse Afrodite mostrerebbe di essere anche lui schiavo dell’Amore.
E se gli dèi non possono giudicare, allora lasciano scivolare questa responsabilità, ancora una volta, sull’essere umano.
La scena si sposta sul monte Ida, anch’esso un monte alto, come il monte Pelio, in cui l’umano e il divino sono vicini. È qui che i giovani eroi si formano, fanno il loro apprendistato, imparano ad essere guerrieri, lontani dalla civiltà.
Gli dèi decidono che sarà uno di questi giovani a scegliere la più bella e, specificamente, la loro scelta va su Paride, il più giovane tra i figli del re Priamo, regnante di Troia, grande città, ricca e potente, che si situa sulla costa nordoccidentale dell’Asia.
Prima che Ecuba, moglie di Priamo, partorisse il suo ultimo figlio, fece un sogno: invece di partorire un bambino, la sua progenie era una torcia che dava fuoco alla città di Troia. Interrogati gli indovini, presto viene chiarito che Priamo sarà colui che porterà Troia alla disfatta.
Si decide, quindi, di portare a termine la gestazione, tuttavia poi di abbandonare il piccolo alla morte, ma senza ucciderlo: un pastore porterà il neonato lontano dalla civiltà e lì lo abbandonerà. Per ironia della sorte, il pastore lo abbandonerà proprio sul monte Ida.
La pratica dell’abbandono del neonato era una pratica comune, in questi casi, tra gli antichi. Non è una condanna certa quella che viene emessa con questa decisione, infatti si lascia spazio alla sorte, la quale potrà decidere se il neonato vivrà o se, invece, dovrà morire.
Paride, infatti, sopravvive: trovato da un’orsa viene da esso nutrito e quindi saranno dei pastori a trovarlo a loro volta e quindi crescerlo tra loro, dandoli il nome “Alessandro”, ovvero “L’uomo che protegge/è protetto”.
Passano gli anni e proprio alla famiglia dove Alessandro è cresciuto viene chiesto di dare un dei loro tori, il quale verrà offerto in sacrificio proprio per commemorare, da parte di Priamo e Ecuba, la scomparsa del figlio. Alessandro/Paride è molto affezionato alla bestia e decide di scortarla personalmente a palazzo, sperando di riuscire a far cambiare idea ai propri sovrani. Arrivato in città, s’iscrive a un torneo di abilità per giovani, dove supererà tutti gli avversari.
Deifobo, un altro dei figli di Priamo, decide di non accettare la sconfitta per mano di un pastore sconosciuto e si prepara ad ucciderlo. Paride si rifugia nel tempio di Zeus, dove si trova anche la sorella Cassandra.
Cassandra, splendida vergine, aveva subito le attenzioni del dio Apollo, tuttavia gli si era rifiutata. Il dio, per vendetta, le aveva imposto  il dono della chiaroveggenza, ma insieme la maledizione che nessuno avrebbe mai creduto alle sue parole.
Cassandra riconosce nel giovane il proprio fratello e lo annuncia ai famigliari, che lo riconoscono grazie alle fasce che indossava quando era stato abbandonato. La storia, apparentemente, ha lieto fine: Paride viene reintegrato con tutti gli onori nella sua famiglia d’origine.
Paride comunque mantiene le sue abitudini da pastore, tornando, di tanto in tanto, sul monte Ida a pascolare il gregge.
È lì che Hermes, il quale ha avuto incarico da Zeus di regolare la questione della “più bella”, lo trova, accompagnato da Era, Atena e Afrodite.
Gli spiega la situazione, lo indica come il prescelto che effettuerà la decisione.
Il giovane è timoroso, indeciso, ma le tre dee tentano di forzargli la mano.
Dice Atena: “Se scegli me otterrai la vittoria in guerra e la saggezza che tutti ti invidieranno.”
Poi Era: “Se scegli me sarai re di tutta l’Asia.”
Infine Afrodite: “Se scegli me diventerai un seduttore senza uguali. Conquisterai il cuore della splendida Elena, della cui bellezza si parla in tutti i reami.”
Paride riflette, alla fine sceglie Afrodite e, con essa, la promessa di amare Elena.
IV) Elena: colpevole o innocente?
La bellissima Elena è figlia di Tindaro, uno spartano, e Leda, splendida figlia di Testio, re di Calidone.  I due, conosciutosi mentre Tindaro si era allontanato da Sparta per la situazione politica pericolosa di Sparta, s’innamorano e si sposano.
Ma Zeus, rapito dalla bellezza di Leda, decide di fare l’amore con lei. Così la notte di nozze tra Leda e Tindaro, dopo che i due hanno fatto all’amore, Zeus si unisce a lei sottoforma di cigno.
Da quella notte nascono quattro figli, provenienti sia da seme umano che divino: due maschi (Castore e Polluce) e due femmine (Elena e Clitennestra). E mentre Castore proviene dalla parte umana, Polluce è frutto del seme di Zeus e verrà, in età adulta, innalzato all’Olimpo.
Polluce, però, otterrà dal padre divino il consenso per una richiesta: molto legato al fratello, i due alterneranno il soggiorno all’Olimpo. Così, mentre Castore sarà sull’Olimpo, Polluce sarà nell’Ade, per poi invertirsi di posto a fasi alterne.
Clitennestra è la figlia umana di Leda: completamente nera, sarà poi lei ad avere un ruolo importante nell’uccisione di Agamennone, colui che sarà il vincitore della guerra di Troia. Ella, quindi, diviene la personificazione della vendetta.
Elena, invece, possiede il dono divino (sicuramente tramandato dal padre Zeus) un’aura di splendida bellezza e seduzione.
Ma Elena è una pedina nella guerra di Troia oppure innocente?
In alcune storie si narra che ella sia rimasta affascinata dal giovane Paride, dalla sua aria orientale, e abbia deciso di seguire i suoi sensi e abbandonare il marito, altre, invece, narrano di come sia stata rapita con la forza dallo stesso Paride.
Ma prima di queste storie, vi è la narrazione del primo matrimonio di Elena:
Elena, arrivata all’età di maritarsi, è davvero splendida. Tindaro decide di convocare tutta la “meglio gioventù” della Grecia per scegliere il futuro sposo. Ma, una volta riuniti tutti, non sa chi scegliere. Decide di chiedere consiglio all’astuto nipote, Ulisse, il quale gli dice di evitare malumori tra i pretendenti. Prima di scegliere tutti dovranno prestare un giuramento: Qualunque sia la decisione di Elena, tutti s’impegnano a rispettarla. Saranno quindi coinvolti in questo matrimonio e, qualora dovesse accadere qualche contrattempo, dovranno mostrarsi solidali con il futuro marito.
Tindaro segue il consiglio, i pretendenti prestano giuramento e Elena, quindi, pronuncia la sua scelta: Meneleao, re di Sparta.
Menelao e Paride si conoscono durante un viaggio di Menelao, dove egli riceve ospitalità dallo stesso Paride. Quando questi, in viaggio con Enea, si reca a Sparta viene dapprima accolto dai fratelli di Elena e quindi ospitato, come la cortesia conviene, dallo stesso Menelao. Nei primi giorni Paride non incontra Elena, pare, infatti, che in occasione di visite ufficiali, le donne di corte non fossero presenti agli incontri tra ospiti e reggenti. Ma poi Menelao deve allontanarsi per un funerale, lasciando il compito dell’ospitalità di Enea e Paride alla moglie.
Come abbiamo detto, non sappiamo con certezza se Elena si sia fatta circuire o se sia stata rapita, ad ogni modo sta di fatto che Paride la porta nella città di Troia.
Paride, quindi, è venuto meno al sacro vincolo del rispetto dell’ospitalità.
Menelao, tornato dal funerale, si precipita dal fratello Agamennone per annunciarli il tradimento di Paride ed Elena.
Agamennone, rimembrando gli accordi precedenti al matrimonio tra il fratello e Menelao, fa chiamare da Ulisse tutti gli ex-pretendenti per ottenere giustizia. La doppia colpa di Paride (adulterio e offesa dell’ospitalità) è talmente grave che sarà tutta la Grecia a chiedere risarcimento.
Una prima soluzione diplomatica viene tentata da Menelao e Ulisse, i quali si recano a Troia.
Accolti come ospiti dal uno dei notabili di Troia, Deifobo, si cerca di mettere a posto le cose tramite il pagamento di un ammenda, ma alcuni familiari di Priamo non concordano e tramano per ucciderli. L’attentato viene evitato solo grazie a Deifobo, il quale si oppone avendo dato egli ospitalità ai due stranieri. Le trattative, quindi, falliscono e resta solo una soluzione: la lotta armata.
V) Morire giovane, vivere eterno nella gloria
Non tutti i greci sono entusiasti di partire per una guerra contro Troia. L’astuto Ulisse decide di fingersi un folle, anche perché non vuole abbandonare il figlio Telemaco, appena partorito dalla moglie Penelope. Nestore, che deve venire per portarlo alla guerra, lo trova che tira un aratro con attaccati un asino e un bue, cammina a ritroso, seminando sassi invece di semi. Nestore, allora, prende Telemaco e lo mette sul percorso che sta facendo il padre, Ulisse è quindi costretto a terminare la finzione per non ferire suo figlio.
È quindi Ulisse stesso ad andare a reclutare Achille. Peleo, suo padre, non vuole che parta la guerra, ha visto morire troppi figli. S’inventa il seguente stratagemma: Achille è ancora molto giovane, il petto e il mento glabro. Lo fa nascondere tra un’isola di fanciulle. Ulisse, sempre lungimirante, arriva travestito da mercante, in cerca di Achille. Gli si dice che non vi sono uomini su quell’isola, allora lui tira fuori della merce come stoffe, spille e gioielli. Le fanciulle si avvicinano curiose, tutte tranne una. Allora lui tira fuori un pugnale e subito l’ultima giovane va da lui.
Achille, allevato alla battaglia sin da giovane dai Centauri e da Chirone, non riesce a sottrarsi al richiamo delle armi e della guerra.
Achille, però, aveva un peculiarità:
Suo madre, Teti, era ossessionato di avere dei figli che potessero essere immortali, proprio perché anch’essa è una dea. Dopo aver partorito, li metteva sul fuoco per bruciare via l’umidità che porta la corruzione dell’umano e che allontana la fiamma del divino. Ma nessuno sopravviva al processo. Peleo, stanco di queste uccisioni, si ribella quando Teti sta per mettere sul fuoco anche il neonato Achille e riesco a toglierlo dal fuoco, ma non prima che questo bruci le labbra e le ossa del tallone del bambino. Per rimediare al danno, Peleo ordina a Chirone di dissotterrare l’osso del tallone di un centauro famoso per la sua corsa e lo fa impiantare nel corpo del giovane figlio, il quale diverrà veloce nella corsa.
Un’altra storia narra che Teti, non potendo immergere il figlio nel fuoco, lo immerge nell’acqua dello Stige, il fiume infernale che separa i vivi dai morti, sapendo che l’immersione dona dei poteri eccezionali. Infatti Achille diviene invulnerabile, fatta eccezione per il tallone, per il quale la madre lo teneva sospeso.
E quindi questo neonato, figlio di una dea e di un umano, diviene una via di mezzo: qualcosa di più di umano, qualcosa di meno del divino.
Ma torniamo alla sua partenza per Troia:
Achille poteva scegliere: vivere una lunga vita serena nella sua casa paterna, oppure partire giovane per la guerra, dove anche le sue doti non davano sicurezza di sopravvivenza.
Achille sceglie, così la sua vita: Morire giovane, per vivere eterno nella gloria della battaglia e della storia.
Egli, infatti, troverà la morte terrena, ma le sue gesta resteranno impresse nella storia fino ai giorni nostri.

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