La mitologia greca secondo J.P. Vernant
5. La guerra di Troia
5. La guerra di Troia
I) La guerra di Troia
Più che concentrarsi sulla storia della
guerra più famosa della letteratura, Vernant si vuole concentrare sulle cause e
i motivi del conflitto.
Tutto inizia con il matrimonio di Peleo, re
di Ftia in Tessaglia, e di Teti, la Nereide.
Il matrimonio si celebra sul monte Pelio,
in Grecia, una montagna molto alta, uno dei pochi luoghi in cui la distanza tra
umano e divino è raccorciata.
La sposa, Teti, è una delle cinquanta
Nereidi, che con la loro presenza benigna giocano fra le onde del mare e ne
popolano le profondità. In quanto divinità marine, fanno propria la proprietà
dell’acqua, ovvero hanno sembianze fluide, in grado di trasformarle a loro
piacimento.
Teti, quindi, possiede la dote della
malleabilità, per certi versi simile al dono di metis (astuzia, conoscenza): la
capacità di adattarsi alle situazioni.
Le Nereidi sono figli di Nereo, a sua volta
figlio di Ponto, il Flutto marino generato da Gaia e Urano quando è nato l’universo.
La loro madre è Doride, figlia di Oceano,
il fiume cosmico primordiale che cinge l’universo.
Grazie alle sue doti, Teti è una creatura
incantevole e col suo fascino conquista il cuore di Zeus e Poseidone. Entrambi
vogliono sposarla e si scontrano su questo. Poseidone, però, viene a sapere di
una profezia: un ipotetico figlio tra Zeus e Teti sarebbe l’unico che potrebbe
spodestare Zeus, proprio com’era successo allo stesso Zeus con il padre Crono
(vd. capitolo 3). Anche Zeus scopre il
segreto, ma solo in seguito: si narra, infatti, che il prezzo della liberazione
di Prometeo sia stato il svelare al padre degli dèi un segreto che lo
concernesse e Prometeo, appunto, gli racconta di questa profezia.
Una discendenza tanto potente spaventa i
due fratelli/contendenti, che preferiscono interrompere la loro corte e di fare
in modo che questa discendenza straordinaria sia generata da un uomo piuttosto
che da un altro dio.
Così preferiscono che a sposare Teti sia un
umano, il sopracitato Peleo.
Dalla loro unione nascerà colui che sarà la
somma di tutti gli eroi guerrieri della mitologia greca: Achille. Come vedremo,
sarà una figura centrale di tutta la guerra di Troia.
II)
Il matrimonio di Peleo
Ma come hanno fatto gli dèi convincere Teti
a sposare un umano? Nemmeno loro possono interferire in simili questioni
(questioni anche di “abbassamento di rango”). Dovrà essere un umano, quindi, a
conquistare la dea.
Peleo incontra Teti sulla riva del mare. Le
parla, poi tenta di afferrarla per portarla con sé. Ma Teti è una creatura
marina, capace di cambiare forma. Peleo conosce questa caratteristica, sa anche
che per non farsela sfuggire deve abbracciarla stretta, con ambo le braccia,
tenendo unite le due mani, qualsiasi cosa accada, qualsiasi forma ella assuma.
Così Teti continua a trasformarsi, ma Peleo non la molla e lei, alla fine,
esaurisce tutte le forme a sua disposizione, rimanendo nella sua forma di dea.
Si celebrano quindi le nozze, il loro
matrimonio avviene sul monte Pelio, come detto un luogo che sancisce la
vicinanza tra umano e divino. Sul monte risiedono anche i centauri, col torso
da umani e il dorso da cavalli. Grandi saggi e abili strateghi, sarà proprio
uno dei loro più illustri rappresentanti, Chirone, a essere tra gli insegnanti
del giovane Achille.
Mentre le nozze vengono celebrate, arriva,
non invitata, Eris, la dea della discordia, dell’odio e della gelosia. Anche
lei, come tutti gli altri presenti, porta un dono. Il suo è un pomo d’oro,
segno della passione che si prova per l’essere amato. Getta il pomo tra i
regali e subito alcuni notano l’iscrizione sul frutto: “Alla più bella.”
Ed è proprio da quel pomo d’oro che
nasceranno i semi che porteranno alla guerra di Troia, come vedremo più avanti.
Ma torniamo al matrimonio: è già
particolare per essere un unione tra divino e umano, ma implica anche altro:
allo stesso tavolo siedono archetipi opposti, come Ares, dio della guerra, e
Afrodite, dea dell’amore e della bellezza. È un matrimonio in cui non si
possono avvertire i contrasti tra figure iconiche e, seppure il matrimonio sia
una celebrazione, assume, in questo caso, un’aria funesta.
III)
Tre dee e un pomo d’oro
Il matrimonio tra Teti e Peleo e passato,
resta, però, il pomo d’oro con la sua insegna: “Alla più bella.”
A chi toccherà quel pomo? Chi è la più
bella?
Non possono essere gli dèi a decidere, Zeus
ha infatti ripartito i doveri e i compiti di ciascun dio. Una sua presa di
posizione romperebbe l’equilibrio creato:
Se egli scegliesse Era parrebbe che
preferisca sua moglie, se invece fosse Atena favorirebbe la figlia, mentre se
nominasse Afrodite mostrerebbe di essere anche lui schiavo dell’Amore.
E se gli dèi non possono giudicare, allora
lasciano scivolare questa responsabilità, ancora una volta, sull’essere umano.
La scena si sposta sul monte Ida, anch’esso
un monte alto, come il monte Pelio, in cui l’umano e il divino sono vicini. È
qui che i giovani eroi si formano, fanno il loro apprendistato, imparano ad
essere guerrieri, lontani dalla civiltà.
Gli dèi decidono che sarà uno di questi
giovani a scegliere la più bella e, specificamente, la loro scelta va su
Paride, il più giovane tra i figli del re Priamo, regnante di Troia, grande
città, ricca e potente, che si situa sulla costa nordoccidentale dell’Asia.
Prima che Ecuba, moglie di Priamo,
partorisse il suo ultimo figlio, fece un sogno: invece di partorire un bambino,
la sua progenie era una torcia che dava fuoco alla città di Troia. Interrogati
gli indovini, presto viene chiarito che Priamo sarà colui che porterà Troia
alla disfatta.
Si decide, quindi, di portare a termine la
gestazione, tuttavia poi di abbandonare il piccolo alla morte, ma senza
ucciderlo: un pastore porterà il neonato lontano dalla civiltà e lì lo
abbandonerà. Per ironia della sorte, il pastore lo abbandonerà proprio sul
monte Ida.
La pratica dell’abbandono del neonato era
una pratica comune, in questi casi, tra gli antichi. Non è una condanna certa
quella che viene emessa con questa decisione, infatti si lascia spazio alla
sorte, la quale potrà decidere se il neonato vivrà o se, invece, dovrà morire.
Paride, infatti, sopravvive: trovato da
un’orsa viene da esso nutrito e quindi saranno dei pastori a trovarlo a loro
volta e quindi crescerlo tra loro, dandoli il nome “Alessandro”, ovvero “L’uomo
che protegge/è protetto”.
Passano gli anni e proprio alla famiglia
dove Alessandro è cresciuto viene chiesto di dare un dei loro tori, il quale
verrà offerto in sacrificio proprio per commemorare, da parte di Priamo e
Ecuba, la scomparsa del figlio. Alessandro/Paride è molto affezionato alla
bestia e decide di scortarla personalmente a palazzo, sperando di riuscire a
far cambiare idea ai propri sovrani. Arrivato in città, s’iscrive a un torneo
di abilità per giovani, dove supererà tutti gli avversari.
Deifobo, un altro dei figli di Priamo,
decide di non accettare la sconfitta per mano di un pastore sconosciuto e si
prepara ad ucciderlo. Paride si rifugia nel tempio di Zeus, dove si trova anche
la sorella Cassandra.
Cassandra, splendida vergine, aveva subito
le attenzioni del dio Apollo, tuttavia gli si era rifiutata. Il dio, per
vendetta, le aveva imposto il dono della
chiaroveggenza, ma insieme la maledizione che nessuno avrebbe mai creduto alle
sue parole.
Cassandra riconosce nel giovane il proprio
fratello e lo annuncia ai famigliari, che lo riconoscono grazie alle fasce che
indossava quando era stato abbandonato. La storia, apparentemente, ha lieto
fine: Paride viene reintegrato con tutti gli onori nella sua famiglia
d’origine.
Paride comunque mantiene le sue abitudini da
pastore, tornando, di tanto in tanto, sul monte Ida a pascolare il gregge.
È lì che Hermes, il quale ha avuto incarico
da Zeus di regolare la questione della “più bella”, lo trova, accompagnato da
Era, Atena e Afrodite.
Gli spiega la situazione, lo indica come il
prescelto che effettuerà la decisione.
Il giovane è timoroso, indeciso, ma le tre
dee tentano di forzargli la mano.
Dice Atena: “Se scegli me otterrai la
vittoria in guerra e la saggezza che tutti ti invidieranno.”
Poi Era: “Se scegli me sarai re di tutta
l’Asia.”
Infine Afrodite: “Se scegli me diventerai
un seduttore senza uguali. Conquisterai il cuore della splendida Elena, della
cui bellezza si parla in tutti i reami.”
Paride riflette, alla fine sceglie Afrodite
e, con essa, la promessa di amare Elena.
IV) Elena: colpevole o innocente?
La bellissima Elena è figlia di Tindaro,
uno spartano, e Leda, splendida figlia di Testio, re di Calidone. I due, conosciutosi mentre Tindaro si era
allontanato da Sparta per la situazione politica pericolosa di Sparta,
s’innamorano e si sposano.
Ma Zeus, rapito dalla bellezza di Leda,
decide di fare l’amore con lei. Così la notte di nozze tra Leda e Tindaro, dopo
che i due hanno fatto all’amore, Zeus si unisce a lei sottoforma di cigno.
Da quella notte nascono quattro figli,
provenienti sia da seme umano che divino: due maschi (Castore e Polluce) e due
femmine (Elena e Clitennestra). E mentre Castore proviene dalla parte umana,
Polluce è frutto del seme di Zeus e verrà, in età adulta, innalzato all’Olimpo.
Polluce, però, otterrà dal padre divino il
consenso per una richiesta: molto legato al fratello, i due alterneranno il
soggiorno all’Olimpo. Così, mentre Castore sarà sull’Olimpo, Polluce sarà
nell’Ade, per poi invertirsi di posto a fasi alterne.
Clitennestra è la figlia umana di Leda:
completamente nera, sarà poi lei ad avere un ruolo importante nell’uccisione di
Agamennone, colui che sarà il vincitore della guerra di Troia. Ella, quindi,
diviene la personificazione della vendetta.
Elena, invece, possiede il dono divino
(sicuramente tramandato dal padre Zeus) un’aura di splendida bellezza e
seduzione.
Ma Elena è una pedina nella guerra di Troia
oppure innocente?
In alcune storie si narra che ella sia
rimasta affascinata dal giovane Paride, dalla sua aria orientale, e abbia
deciso di seguire i suoi sensi e abbandonare il marito, altre, invece, narrano
di come sia stata rapita con la forza dallo stesso Paride.
Ma prima di queste storie, vi è la
narrazione del primo matrimonio di Elena:
Elena, arrivata all’età di maritarsi, è
davvero splendida. Tindaro decide di convocare tutta la “meglio gioventù” della
Grecia per scegliere il futuro sposo. Ma, una volta riuniti tutti, non sa chi
scegliere. Decide di chiedere consiglio all’astuto nipote, Ulisse, il quale gli
dice di evitare malumori tra i pretendenti. Prima di scegliere tutti dovranno
prestare un giuramento: Qualunque sia la decisione di Elena, tutti s’impegnano
a rispettarla. Saranno quindi coinvolti in questo matrimonio e, qualora dovesse
accadere qualche contrattempo, dovranno mostrarsi solidali con il futuro
marito.
Tindaro segue il consiglio, i pretendenti
prestano giuramento e Elena, quindi, pronuncia la sua scelta: Meneleao, re di
Sparta.
Menelao e Paride si conoscono durante un
viaggio di Menelao, dove egli riceve ospitalità dallo stesso Paride. Quando
questi, in viaggio con Enea, si reca a Sparta viene dapprima accolto dai
fratelli di Elena e quindi ospitato, come la cortesia conviene, dallo stesso
Menelao. Nei primi giorni Paride non incontra Elena, pare, infatti, che in
occasione di visite ufficiali, le donne di corte non fossero presenti agli
incontri tra ospiti e reggenti. Ma poi Menelao deve allontanarsi per un
funerale, lasciando il compito dell’ospitalità di Enea e Paride alla moglie.
Come abbiamo detto, non sappiamo con
certezza se Elena si sia fatta circuire o se sia stata rapita, ad ogni modo sta
di fatto che Paride la porta nella città di Troia.
Paride, quindi, è venuto meno al sacro
vincolo del rispetto dell’ospitalità.
Menelao, tornato dal funerale, si precipita
dal fratello Agamennone per annunciarli il tradimento di Paride ed Elena.
Agamennone, rimembrando gli accordi
precedenti al matrimonio tra il fratello e Menelao, fa chiamare da Ulisse tutti
gli ex-pretendenti per ottenere giustizia. La doppia colpa di Paride (adulterio
e offesa dell’ospitalità) è talmente grave che sarà tutta la Grecia a chiedere
risarcimento.
Una prima soluzione diplomatica viene
tentata da Menelao e Ulisse, i quali si recano a Troia.
Accolti come ospiti dal uno dei notabili di
Troia, Deifobo, si cerca di mettere a posto le cose tramite il pagamento di un
ammenda, ma alcuni familiari di Priamo non concordano e tramano per ucciderli.
L’attentato viene evitato solo grazie a Deifobo, il quale si oppone avendo dato
egli ospitalità ai due stranieri. Le trattative, quindi, falliscono e resta
solo una soluzione: la lotta armata.
V) Morire
giovane, vivere eterno nella gloria
Non tutti i greci sono entusiasti di
partire per una guerra contro Troia. L’astuto Ulisse decide di fingersi un
folle, anche perché non vuole abbandonare il figlio Telemaco, appena partorito
dalla moglie Penelope. Nestore, che deve venire per portarlo alla guerra, lo
trova che tira un aratro con attaccati un asino e un bue, cammina a ritroso,
seminando sassi invece di semi. Nestore, allora, prende Telemaco e lo mette sul
percorso che sta facendo il padre, Ulisse è quindi costretto a terminare la
finzione per non ferire suo figlio.
È quindi Ulisse stesso ad andare a
reclutare Achille. Peleo, suo padre, non vuole che parta la guerra, ha visto
morire troppi figli. S’inventa il seguente stratagemma: Achille è ancora molto
giovane, il petto e il mento glabro. Lo fa nascondere tra un’isola di
fanciulle. Ulisse, sempre lungimirante, arriva travestito da mercante, in cerca
di Achille. Gli si dice che non vi sono uomini su quell’isola, allora lui tira
fuori della merce come stoffe, spille e gioielli. Le fanciulle si avvicinano
curiose, tutte tranne una. Allora lui tira fuori un pugnale e subito l’ultima
giovane va da lui.
Achille, allevato alla battaglia sin da
giovane dai Centauri e da Chirone, non riesce a sottrarsi al richiamo delle
armi e della guerra.
Achille, però, aveva un peculiarità:
Suo madre, Teti, era ossessionato di avere
dei figli che potessero essere immortali, proprio perché anch’essa è una dea.
Dopo aver partorito, li metteva sul fuoco per bruciare via l’umidità che porta
la corruzione dell’umano e che allontana la fiamma del divino. Ma nessuno
sopravviva al processo. Peleo, stanco di queste uccisioni, si ribella quando
Teti sta per mettere sul fuoco anche il neonato Achille e riesco a toglierlo
dal fuoco, ma non prima che questo bruci le labbra e le ossa del tallone del
bambino. Per rimediare al danno, Peleo ordina a Chirone di dissotterrare l’osso
del tallone di un centauro famoso per la sua corsa e lo fa impiantare nel corpo
del giovane figlio, il quale diverrà veloce nella corsa.
Un’altra storia narra che Teti, non potendo
immergere il figlio nel fuoco, lo immerge nell’acqua dello Stige, il fiume
infernale che separa i vivi dai morti, sapendo che l’immersione dona dei poteri
eccezionali. Infatti Achille diviene invulnerabile, fatta eccezione per il
tallone, per il quale la madre lo teneva sospeso.
E quindi questo neonato, figlio di una dea
e di un umano, diviene una via di mezzo: qualcosa di più di umano, qualcosa di
meno del divino.
Ma torniamo alla sua partenza per Troia:
Achille poteva scegliere: vivere una lunga
vita serena nella sua casa paterna, oppure partire giovane per la guerra, dove
anche le sue doti non davano sicurezza di sopravvivenza.
Achille sceglie, così la sua vita: Morire
giovane, per vivere eterno nella gloria della battaglia e della storia.
Egli, infatti, troverà la morte terrena, ma
le sue gesta resteranno impresse nella storia fino ai giorni nostri.
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