La comicità, pur rispettando le regole di fondo che
strutturano un racconto, si pone su un piano diverso rispetto a quella di altre
narrazioni. Si parlerà, in questo capitolo, soprattutto di comicità
cinematografica perché proprio sul grande schermo essa si esprime al suo
meglio: giochi verbali, ruzzoloni, etc.
La comicità rinuncia volontariamente alla profondità: gran
parte dei personaggi di un’opera comica sono privi di approfondimenti psicologici
e agiscono spesso fuori da ogni impianto sociologico, ideologico e
naturalistico. Infatti il suo unico obiettivo è far ridere.
Ma per conseguire questa traguardo vi è bisogno di una
maschera adatta, ovvero un comico di grande talento. Mentre la commedia
brillante può avvalersi di attori dotati, la comicità necessita proprio di un
comico e il testo sarà scritto proprio sulla sua persona. Infatti è difficile
che riesca un’opera scritta per un comico che possa essere usata efficacemente
da un altro: il copione è in gran parte pre-testuale, pone solo le basi per
lasciar libero l’estro del comico.
Un esempio per tutti: Totò.
Il personaggio comico non ha un background, non è chiaro da
dove venga o dove vuole andare, le donne nemmeno lo vedono e scatena l’istinto
predatore dei poliziotti. Le parole di un comico sono parole vuote che
raccontano il vuoto, una rappresentazione gaia della vita, energica e vibrante.
Un personaggio simile non può muoversi nella gabbia di una realtà complessa.
Ma la comicità non ricerca per forza il ridere a
squarciagola, quanto più il sorriso e l’intrattenimento per tutta la durata del
film.
Quindi la drammaturgia comica non può basarsi sulle
contraddizioni e la complessità. E anche la sceneggiatura ne sarà influenzata:
pochi primi piani proprio perché è tutto il corpo che esegue gli sketch. Non ci
saranno giochi di luce, l’attenzione è tutta sul comico che deve essere ben
visibile, anche perché, diciamocelo, l’oscurità ha sempre qualcosa di
drammatico in sé.
Nel copione vi dovrà essere molto ritmo, moto trainante del
pezzo comico
-
Il colapasta
La
storia dietro la comicità nasce da un contrasto senza soluzione, uno squilibrio
incolmabile.
Un
esempio: Vediamo un barbone entrare in un ristorante di lusso e ordinare da
mangiare. Anche se la situazione è assurda e può portare a qualche sorriso, non
farà ancora ridere. Infatti se il barbone comincia a mangiare la minestra
rumorosamente, i commensali non ci faranno troppo caso: è sì un batterio che
entra in un organismo collaudato, ma è quello che ci si aspetta da un barbone,
nemmeno gli altri commensali ci faranno troppo caso.
Se
invece il barbone prima di entrare si è vestito bene, entra nel ristorante di
lusso, ordina e comincia a mangiare la minestra in modo rumoroso, l’effetto
sarà ben diverso, con i commensali che saranno indignati dal comportamento di
quel falso gentiluomo.
Cosa
si può anche dedurre da questo esempio? Che il comico anela al conformismo, ma,
semplicemente, non ce la fa. Cerca di integrarsi ma fallisce miseramente (e comicamente).
Il
comico riesce ad agire al meglio in una società dai poteri forti, in cui la
democrazia è stata sostituita dalla conformità, dall’appartenenza a un gruppo
sociale. Questo voler essere tutti uguali porta facilmente a fare delle
caricature dei vari gruppi sociali. Il comico cerca di entrare in questi
gruppi, cerca l’accettazione, ma non vi riesce e quindi diventa, suo malgrado,
un reazionario. Non volendo entra in conflitto con l’universo esterno.
-
La gag
Un
ottimo esempio di gag viene da uno dei film di Charlot:
Charlot
viene lasciato dalla sua donna, nella scena successiva lo si vede di spalle,
che scuote forte tutto il corpo.
E
mentre il pubblico crede che pianga perché è stato lasciato, lui si gira e si
vede che si sta shakerando un cocktail.
Questa
scena ci rivela due fondamenti della gag:
La
gag prende forza dalla scena precedente (che diventa, quindi, metonimia).
Inoltre
il pubblico era convinto di averlo visto piangere, quindi ha già empatizzato
nei confronti del comico, rendendolo carico di umanità.
Il
comico, quindi, si è umanizzato senza però caricarsi troppo di realtà.
Il
termine “gag” viene dall’inglese ed era riferito a quei momenti di
improvvisazione durante uno spettacolo quando la memoria sfugge.
La
gag è quindi legata all’improvvisazione e all’inaspettato.
Quindi
se la gag fa scoppiare in grasse risate è perché deve essere preparata dalle
scene precedenti: il copione deve essere pieno di spunti che inducano (e
facilitino) una svolta inaspettata e divertente.
Ovviamente
le metanimie precedenti non dovranno essere troppo esplicite. Quindi la gag
nasce e muore in un momento e non è parte fondamentale nella narrazione.
Per
inventare una gag, lo scrittore deve creare una situazione propizia (ad esempio
un luogo che dia adito a fraintendimenti). Se il personaggio vuole andare in un
bordello ma sbaglia edificio ed entra nello studio di un dentista la situazione
si fa subito comica.
Da
non sottovalutare è anche l’importanza che possono avere gli oggetti (esempio:
un aspirapolvere che sfugge di mano e comincia ad aspirare tutto, anche le
parti intime).
Altro
elemento fondamentale è affiancare una spalla al comico. La spalla rappresenta
il pubblico sullo schermo: è il primo ad essere incredulo verso quanto succede
al comico, il primo di cui si vede l’espressione.
-
Drammaturgia del comico
Il
drammaturgo che scrive un copione comico deve fare bene attenzione a fornire sì
materiale/metanimie per le gag, tuttavia deve lasciare ampio spazio all’estro e
alla personalità del comico. Questo non significa che debba tutto basarsi sull’estro
dell’attore, perché la storia deve comunque avere una trama e non può essere un
insieme di sketch.
Quindi
bisogna creare una solida base che dia modo al comico di sviluppare la sua
personale comicità, ovvero una griglia narrativa semplice e forte, ma che lasci
libero il comico di eseguire variazioni.
La
storia, come detto deve essere semplice, ma, visto che è impossibile creare una
storia comica di base, bisogna immaginarsi una situazione e immaginarsi dentro
il comico prescelto. Praticamente il personaggio si trova dentro in una
situazione drammaturgica seria e sarà ancora più facile stravolgerla per far
ridere il pubblico.
Insomma:
se non vi è dietro una drammaturgia, una storia, rimangono solo le “smorfie”.
Possiamo
anche creare una scena paradossale/divertente in cui sia l’attore drammatico,
nella sua serietà, a rendere comica la scena. Lì, però, l’attore dovrà seguire
attentamente la sceneggiatura creata dal drammaturgo, senza “battutine”: sarà
la situazione in cui è stato immesso a risultare comica proprio a causa della
sua serietà.
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