domenica 6 gennaio 2013

Parmenide

La storia dei presocratici secondo Luciano De Crescenzo
11. Parmenide


Parminide nacque ad Elea tra il 520 e il 510 a.C ed ebbe come maestro Senofane (suo “compaesano”). Si afferma che tra i suoi maestri vi fosse anche Anassimandro, ma la distanza geografica (più di 2'000 miglia) e anagrafica (Anassimandro è vissuto 100 anni prima) rendono l’affermazione improbabile.
Parminide proveniva da una famiglia ricca ed era conosciuto per essere generoso nei confronti degli amici; come molti altri greci ebbe anche relazioni omosessuali, tra cui Aminia, il quale seguiva gli studi di Pitagora. Si narra, inoltre, che fosse un ottimo legislatore e che i giovani concittadini giunti alla maggiore età dovessero giurare fedeltà alle “leggi Parminidee”. Ebbe come studenti Zenone ed Empedocle, ma di entrambi si parlerà in un successivo capitolo.

Come narra Platone nel “Parmenide”, nel 450 a. C. il filosofo si recò ad Atene con l’allievo Zenone, per una missione diplomatica al fine di stipulare un atto di alleanza tra le due città. In tale occasione vi fu un lungo incontro/dibattito tra i due eleani e filosofi atenesi (tra cui Socrate). I primi, sicuramente, avevano una gran voglia di dimostrare che anche loro, pur venendo da una città meno grande e prestigiosa, potevano dimostrarsi filosofi capaci ed indipendenti. Ne seguì una lunga discussione, su temi spesso astratti, su cui lo stesso DeCrescenzo preferisce non soffermarsi troppo.

Anche Parminide sceglie di raccogliere il suo pensiero in un libro intitolato “La natura”.
Sceglie un’introduzione molto suggestiva:
S’immagina su un carro trainato da focose cavalle (ovvero le passioni degli esseri umani) e di giungere “fuori dal camino degli uomini”, davanti alla “Porta che divide i sentieri del Giorno e della Notte”. Gli sbarra la strada la Giustiza, ma viene convinta dalle figlie del Sole (rappresentanti le sensazioni) a far passare il filosofo. Egli giunge così al cospetto della Dea, la quale lo consiglia:
“Tu devi conoscere entrambe le strade:
sia il saldo cuore della rotonda verità (la scienza)
sia l’opinione dei mortali (le apparenze)
nelle quali non v’è nulla degno di fede.”
Parmenide rapporta la Verità/Dio/Essere all Uno pre-creazione, e per egli la Verità diviene:
-      Unica:
unica realtà esistente
-      Intera:
in principio vi era il vuoto, quindi non esistevano spazi per poter dividere la Verità/Uno in più parti
-      Immobile:
In assenza di spazi, la Verità/Uno non poteva muoversi
-      Ingenerata:
La Verità/Essere non poteva venire generata dal Non-Essere, la quale, per definizione, non può esistere.
E quindi la Dea si riferisce a due strade che si possono percorrere:
La prima è quella della verità, per quanto sopra esposta legata all’Unità.
La seconda quella dell’opinione, quindi del molteplice. Ed essendo l’opinione soggettiva e quindi multiforme e cangiante, essa non può che essere fallace/mera apparenza, agli occhi di Parmenide, in quanto non corrisponde al concetto di Verità/Uno/Unità.

Pensare, secondo Parmenide, implica “essere”, mentre il “non essere” non può, ovviamente, esistere, in quanto non pensato.
Quindi pensando “creiamo” qualcosa (un oggetto, una persona). Tale cosa “è”, ciò non vuol dire che “esista” poi nella realtà.
Posso immaginarmi flotte di alieni (che quindi “sono”, seppure solo nella mia immaginazione), ma questi possono benissimo non esistere.
Quindi, secondo Parmenide, tutto ciò a cui l’essere umano pensa diviene in “essere”, seppure nella realtà si possa anche non riscontrarne l’esistenza.
Mentre qualcosa che non è “stato pensato” non può “essere”.
Da questi si deduce l’importanza fondamentale del pensiero, un’esaltazione dello stesso, il quale diviene, in quest’ottica, materia di creazione.
Un ragionamento che quindi ci induce a ritornare a pensare alle opinioni dei mortali/apparenze di cui sopra:
L’apparenza è frutto di un ragionamento, quindi di un pensiero, tuttavia esso è istintivo, non ragionato. Quindi, con tale ragionamento, l’apparenza creata “è” (è presente nella mente di chi formula questo ragionamento), ma ciò non significa per forza che debba “esistere” (avere riscontro nella realtà).
La scienza, invece, è frutto di pensiero convalidato, che si presta al contradditorio, quindi il suo “essere” può essere mutevole, eppure essa trova riscontro anche nella realtà effettiva quando diviene finalmente definita.

Sembra ovvio, quindi, il richiamo di Parmenide al fatto che possono “esserci” tante cose (tanti ragionamenti possono essere creati), ma le sole su cui vale la pena concentrarsi, sono i ragionamenti complessivi, magari frutto di intuizione ma approfonditi.

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