La scrittura:
come siamo convinti che la parola scritta consegni i nostri nomi all'immortalità.
E se, invece, non fosse altro che incidere il proprio nome sulla lavagna del destino affinché la morte ci possa trovare con maggiore facilità?
Sebastiano Vassalli è, al suo solito, straordinario:
capace di raccontare la storia di un popolo (gli etruschi), di riempiere pagine sul significato della scrittura e, il tutto, in brevi capitoli, perfettamente narrati in forma romanzata.
E se la storia è narrata da un (a me sconosciuto) Timoteo, nelle pagine si affollano personaggi del calibro di Virigio, Mecenante e Augusto. Vassalli, però, non si cura della fama che precede questi uomini entrati nella storia, bensì li mostra intrisi di piena umanità, cogliendoli sì nei loro gesti eclatanti, eppure soffermandosi anche nelle loro abitudini quotadiane.
Impareggiabile, poi il modo in cui Vassalli narra dell’origine del pubblico etrusco:
in una nebbia di pozioni magiche, entriamo nelle vite di questo antico popolo, passando da una persona all’altra, ascoltando frammenti di storie che donano l’insieme.
E se questo, come altri libri dell’autore, può apparire come un libro troppo “pesante”… non fateci caso. Non pensate all’argomento. È un libro scorrevole, sapientemente costruito in brevi capitoli di poche pagine, tali da snellire anche l’argomento più pesante. E se non bastasse c’è l’arte di narrare di Vassalli… e v’assicuro che non è affatto poca cosa.
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