12. Zenone
Zenone nacque a
Elea intorno al 490 a. C, la sua famiglia abitava poco distante da quella di Parmenide e il giovane Zenone si fece subito notare dal filosofo.
Era, infatti, prassi che molti filosofi si attorniassero di seguaci. Infatti
Parmenide chiese di adottare il ragazzo. C’è poi chi afferma che il filosofo
fosse più colpito dalla bellezza di Zenone che dal suo acume.
Il ragazzo studiò
fisica, matematica e astronomia, e fu, inoltre, un ottimo polemista, da Aristotele
definito come l’inventore della
dialettica. Ebbe numerosi allievi.
La bellezza di
Zenone lo aiutava ancora di più nell’arte della dialettica, in cui, a volte,
più che i contenuti, contavano la forma: il gesto solenne, il parlare
sentenzioso, etc.
Zenone aveva una
vera passione politica, che, seppure apprezzata, gli valse la morte. Fu il
fautore di un attentato al dittatore di Elea, tale Nearco, che fallì
miseramente, probabilmente perché il re era stato informato delle intenzioni
del filosofo. Catturato, l’ormai vecchio Zenone si rifiutò di piegarsi alla
tortura, non confessando i nomi di chi lo aveva aiutato nella congiura e, anzi,
continuando ad elencare unicamente i nomi dei più fedeli al re. Stremato dalla
tortura, Zenone affermò di voler raccontare la verità unicamente a Nearco, il
quale si avvicinò al filosofo… se non che quello approfittò per addentarli un
orecchio.
Trafitto dalle
spade, sembra abbia mormorato che “nella vita la virtù non è sufficiente,
giacché ha bisogno anche dell’aiuto di un felice destino.”
Zenone si trovava
spesso a difendere il suo mentore in merito al principio dell’eleatismo: L’essere
è, il non essere non è. Al filosofo veniva fatto rimarcare che se si concepisce
l’essere, come non si può concepire contemporaneamente l’idea di non essere? L’essere,
quindi, ha bisogno, come elemento pregiudiziale, il non essere. A complemento
del tutto, si deduce che “l’essere è, e il non essere non è, pur essendo
necessario.”
Zenone, tuttavia,
controbatteva questa tesi, la quale portava a conclusione che “l’essere” non è
unico, bensì molteplice.
Egli confutava
questo tramite paradossi, come l’esempio del tiro di una freccia: se si parte
dal presupposto che esista il molteplice, questo va applicato a qualunque
situazione, quindi il movimento della freccia scoccata non è un gesto finito e
unico ma un’insieme infinito di istanti che si sommano, generando, di
conseguenza, un infinità immobilità. Si pensi, in questo senso, alla fotografia
di una freccia che vola, che la rende immobile, cristallizzandola in un istante
unico.
La conclusione,
quindi, di Zenone è che il movimento risulta diverso da chi e quando lo osserva
e quindi non esiste.
Ci sarebbero
voluti ancora molti anni prima che a confutare questa tesi arrivasse la
relatività, a mostrarci che non ha senso dire che un oggetto si muove, se non si
specifica anche rispetto a cosa si muove,
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