Non c'è più fede!
E per "fede" s'intende "fede politica".
In un ottobre che porta Romney (candidato repubblicano alla presidenza degli USA) ad essere moderato, Renzi (candidato alla leadership del Partito Democratico in Italia) che afferma di non aver letto Marx e un centrodestra italiano sempre più turbulento, sembra ovvio che l'identità politica, così come la conosciamo, sta entrando in un tunnel senza fari.
Il tempo ci dirà se ciò porterà all'incidente fatale o se i politici decideranno di fare retromarcia per tornare a rimarcare fieramente i principi storici dei propri partiti.
Ma ha ancora senso, oggi come oggi, di parlare ancora di principi all'interno dei partiti?
A mio avviso il decesso, in questo senso, è già stato confermato, solo che non ci si rende conto.
Come la sinistra ha capito che deve parlare con il capitalismo, così i liberali si scoprono di non poter fare a meno di fare delle azioni sociali e la destra populista si trova immersa nella globalizzazione.
Sono questi 3 i punti, a mio avviso, fondamentali che ci fanno capire che come le identità politiche di schieramento, come le abbiamo conosciute 20-40 anni fa, non hanno, oggi, più alcun senso. E, di conseguenza, ciò comporterebbe un maggiore dialogo tra i vari partiti, non più avversari ma solidali contro il nemico più grande: la crisi economica che ha investito il globo e che mostra solo deboli rallentamenti. Andiamo, quindi, ad analizzarli:
La sinistra dialoga con il capitalismo
C'era una volta il comunista/socialista che trovava la forza nell'unità del proletariato e che inveiva contro il padrone. Se questo ha portato a grandi risultati (maggiore coscienza sociale, orari di lavoro ridotti a dimensioni quasi umane), a un certo punto il lavoratore, felice del suo televisore al plasma e di guardare le partite in diretta su satellite, si è disinteressato dei suoi colleghi. Il benessere ha portato all'egoismo diffuso, in cui la solidità e l'eguaglianza sociale sono stati nettamente sorpassati dalla cura dei propri interessi.
A questo cambio di mentalità è subentrata una crisi economica che ha investito tutti: Come può il lavoratore prendersela con il piccolo imprenditore quando questi fa debiti per pagarlo a fine mese? Come si può rifiutare un contratto di lavoro schiavista quando non ci sono posti di lavoro e, in qualche modo, a fine mese devi cercare di arrivarci? In sintesi: come può la sinistra e il sindacato andare a battar cassa, in questo momento, dall'imprenditore? O l'imprenditore (quelli di piccole-medie dimensioni) non hanno i mezzi per dar seguito alle richieste (anche con tutta la buona volontà), oppure l'imprenditore (quello di grande dimensioni), che ora può contare su una possibilità enorme di persone disperate da assumere, se ne frega altamente.
Il dialogo con i piccoli imprenditori, quindi, non ha più motivo di esistere, perché sia i lavoratori che l'imprenditore "stanno alle pezze" allo stesso modo.
Ovvio che, di conseguenza, inizi il dialogo con i poteri forti, ovvero le grandi strutture. Queste hanno ben chiaro la loro posizione di potere: nel mondo che tutti abbiamo creato, sono le grandi imprese e l'economia finanziaria a dettare l'andamento della vita di chiunque. Quindi presentarsi a loro con il fazzoletto rosso nel taschino e rifiutare il dialogo non porta ad alcun vantaggio.
Di certo bisogna lottare contro le ingiustizie e le misure schiaviste, tuttavia bisogna avere dalla propria parte anche degli alleati, ovvero è la politica di sinistra che parla con i poteri forti in un dialogo costruttivo. A volte vincendo, a volte perdendo, ma mantenendo costante i canali di comunicazione.
Nella parte sud del mondo siamo abituati a sgobbare finché non crolliamo: le grandi aziende, invece, da tempo hanno capito che è meglio essere flessibili negli orari (per fare un esempio) e che un dipendente soddisfatto comporta una migliore resa produttiva.
La sinistra, quindi, dovrebbe con fierezza rivendicare il suo status di primo promotore dei meccanismi sociali, tuttavia rendendosi elastico nelle trattive e nel dialogo con il capitalismo.
I liberali che si rapportano con il sociale
Se la maggioranza dei votanti si è vista decurtare lo stipendio (e la qualità di vita) in modo drastico, è ovvio che i liberali non possono aspettarsi che l'elettorato promuova chi tutela unicamente i diritti delle aziende, restando flessibile sui loro doveri.
E se, prima, si cercava il favore delle grandi aziende, ora il candidato liberale si trova davanti una folla di persone arrabbiate, che vogliono risposte e azioni concrete che portino a un (parziale) ritrovamento del proprio status sociale (leggi: una paga decente).
Quindi i "comizi" dei liberali dovranno, per forza di cose, spostarsi da uffici e ristoranti lussuosi nelle piazze, nei bar malfamati e all'interno delle fabbriche.
L'uomo comune ha capito che delle parole non se ne fa niente ed è disposto a votare solo chi può dare davvero una mano nel concreto.
E quale figura più adatta che non quella di un partito liberale? La loro storia viaggia in parallelo con il successo dei poteri forti, rendendoli gli interlocutori ideali per una riforma sociale all'interno dell'economia.
I populisti scoprono la globalizzazione
Da sempre si prova a far leva sugli istanti base dell'essere umano per averla vinta in politica. E, tra questi, vi è l'istinto della lotta per il proprio territorio. Ma ora i populisti stanno capendo che i confini stanno cadendo: se crolla una banca a Wall Street, ne farà le spese anche l'operaio di Macerata. Stesso discorso di prima: la gente con basso-medio reddito (ovvero una grande parte dell'elettorato populista) chiede risposte concrete al proprio partito. Poco importa se il mio capo non vive nel mio paesello da 15 generazioni: anche se la ditta è propietaria di un giapponese che non vedo mai, l'importante è che mi paghi alla fine del mese.
Le urla di rifiuto contro l'Europa, la richiesta di un'economia che si base su scala locale, sono favole che hanno mostrato da tempo la loro falsità: Siamo tutti sulla stessa barca, Europa, America, Asia e Africa (e mettiamoci anche l'Australia, và!). Le relazioni per "fare business" si devono adattare a un mercato globale. Se l'imprenditore del paesello esporta la sua merce all'estero, grazie anche all'assenza di dazi doganali, tutto il paesello ne trarrà beneficio, fregandosene se il cliente non parla il proprio dialetto.
Il populismo, quindi, dovrebbe spostarsi verso azioni sociali legati prettamente al territorio, essere il filo diretto che permette alla persona comune di interloquire con la politica. E dovrebbe essere il garante dell'identità culturale delle piccole realtà, affinché l'economia divenga globale, ma anche che i nipoti possano essere consci dell'eredità lasciate dai propri bisnonni.
Il partito unico
Le diverse peculiarità dei vari partiti, quindi, mostrano un potenziale enorme se dovesse, finalmente, nascere un vero dialogo basato sul rispetto delle proprie carattestische e il riconoscimento della forza di quello che, una volta, era l'avversario da battere.
Le antiche faide da guerra civile parlamentare non hanno più modo di sopravvivere nell'attuale clima sociale: se i partiti si osteniranno in antiche lotte per il territorio, presto scopriranno che gli elettori saranno maggiormente attirati verso interlocutori più versatili e, soprattutto, di agire concretamente nel mondo moderno.
Mauro Biancaniello
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