PREMESSA: I cinque pilastri dell’ikigai
I cinque pilastri dell’ikigai sono della fondamenta. Essi non sono di per sé esaustivi, come non si
escludono a vicenda. Non seguono un ordine o una gerarchia particolare.
Premesso ciò, per semplificazione li elenchiamo in questo modo:
Primo pilastro: COMINCIARE IN PICCOLO
Secondo pilastro DIMENTICARSI DI SÈ
Terzo pilastro: ARMONIA E SOSTENIBILITÀ
Quarto pilastro: LA GIOIA DELLE PICCOLE COSE
Quinto pilastro: STARE NEL QUI E ORA
CAPITOLO PRIMO: Cos’è l’ikigai?
La parola ikigai è composta da iki (vivere) e gai (ragione), descrive quindi i piaceri e ciò che da senso
alla vita. È alla portata di tutti, viene usato in svariati contesti, dalle piccole cose ai grandi traguardi.
Prendiamo come esempio un noto ristoratore di sushi, Jiro Ono.
Ikigai per lui è ricevere i complimenti di Barack Obama per la sua cucina, ma è anche assaporare l’aria
fresca mentre esce di casa per comprare il suo pesce, o il piacere di cucinare. In questo senso, l’ikigai
vive nel successo professionale, ma anche in una buona tazza di caffè, nelle grandi come nelle piccole
cose.
E per poter apprezzare l’ikigai bisogna appunto capire l’ampio spettro dove esso è presente.
L’ikigai quindi non è commisurato unicamente al successo personale, come anche differisce dalle teorie
che danno un senso solo ad azioni e pensieri che diano un vantaggio o un premio.
L’autore si sofferma spesso sul fatto che l’ikigai si sia integrato fortemente nella cultura giapponese, e,
per rimarcarne il significato, fa riferimento allo psicologo inglese Galton (fine Ottocento): alcuni tratti
particolarmente rilevanti della personalità di un popolo finiscono per codificarsi nel linguaggio di quella
civiltà, e quanto più importante è il tratto, tanto più facilmente verrà concettualizzato in un’unica parola.
Da uno studio della facoltà di medicina dell’università di Sendai (nord del Giappone) del 2008, risulta
una significativa correlazione tra l’ikigai e benessere psicofisico.
Infatti lo studio concludeva che coloro che non coltivano un senso di ikigai sono spesso: celibi, meno
istruiti, disoccupati, dolori fisici modesti, difficoltà nella deambulazione.
Da questa non si deduce che l’ikigai sia una panacea contro i mali del mondo, piuttosto che imprime un
certo atteggiamento mentale, che porta le persone a voler aspirare a un’esistenza attiva e felice.
Ritornando al ristoratore Ono, troviamo in lui l’esempio di un ristorante nato dal nulla, ovvero dal primo
pilastro dell’ikigai: Cominciare dal piccolo.
Il ristorante si è migliorato, con accorgimenti nati dalla fatica e dall’amore di Ono, ma è, appunto,
cominciato da un locale piccolo, che permettesse a Ono di arrivare alla fine del mese.
Possiamo dire che l’ikigai riguarda la scoperta e l’apprezzamento dei piaceri della vita, piaceri che son
soggettivi, individuali e che non importa se condivisi da altri.
Una volta scoperto, ognuno potrà coltivare il proprio ikigai, accudirlo con pazienza, anche in segreto, e
attendere che dia i suoi frutti unici e originali.
In conclusione, Mogi pone delle domande:
Quali sono le cose che per te hanno un valore fondamentale?
Quali sono le piccole cose che vi danno più piacere?
CAPITOLO SECONDO: Un buon motivo per alzarsi la mattina
L’ikigai, ovvero lo scopo/desiderio che si hanno, in pratica dona una motivazione esistenziale. Questo
dona fame di vita e fa accogliere meglio l’arrivo di ogni giornata.
Hiroki Fujita, che commercia in tonni a Tokyo, riferisce che “mi sveglio così presto al mattino perché
cerco solo il tonno davvero speciale” al mercato ittico. Egli si chiede se anche quel giorno troverà
quello che cerca “e questo pensiero mi manda avanti”.
L’inizio della giornata, la sua enorme potenziale produttività dipende ovviamente anche dal riposo
notturno, come si sà che la regolarità delle funzioni ormonale è legato al seguire il ciclo solare.
Ma se si dorme a sufficienza, il nostro cervello, riposato al punto giusto, sarà pronto e fresco a nutrirsi di
nuove informazioni, rendendo le prime ore del mattino le più produttive della giornata. E se si inizia
dandosi il buongiorno con un sorriso, si favorisce anche una regolazione ormonale, con un rafforzamento
del sistema immunitario.
Il sole è legato alla cultura giapponese sia nel suo nome: Nippon (o Nihon), ovvero “l’origine del sole” e
ha come simbolo l’hinomaru, il disco solare.
Sempre il sole era al centro dell’attività contadina, che nel periodo Edo (1603-1868) veniva svolto dall’80
per cento della popolazione. Soprattutto si coltivava riso. Ma chiunque sa che per fare bene l’agricoltore,
bisogna lavorare sin dalle prime ore del mattino.
La coltivazione del riso è talmente irradiata anche nel moderno giappone che ancora oggi l’imperatore
pianta germogli di riso a primavera nel terreno del palazzo imperiale e quindi lo raccoglie in autunno.
Compie queste operazioni usando le proprie mani.
Al ciclo del mattino è legato anche l’attività del sumotori, il lottatore di sumo, i quali si allenano solo prima
di colazione, mentre il pomeriggio è dedicato ai passatempi personali.
Come anche la radio taiso: è ginnastica ritmica scandita dalla musica che ogni mattina viene trasmessa
dalla radio. Tale abitudine viene anche usata per le vacanze estive degli scolari, in quanto vengono
organizzati dei raduni locali di radio taiso. Chi vi partecipa riceve un timbro e, a fine estate, potrà quindi
ricevere un piccolo regalo. Molto apprezzata dagli adulti, si nota come, questo incentivo, i ragazzi
abbiano un motivo per non andare a letto troppo tardi ed essere ben attivi sin dal mattino.
La radio taiso non è però una coreografia di giovani studenti: ognuno la pratica a suo modo, come fanno
anche i raduni per anziani di radio taiso. È quindi un’attività che raggiunge tutti, ma con margini di
tolleranza ampi che permette ad ognuno di impegnarsi come può.
Un’altra immagine, che però accomuna il Giappone al mondo occidentale, è l’abitudine di godersi
qualcosa di goloso al mattino (nel loro caso, la tradizione sarebbe tè verde con qualcosa di dolce).
Il sole, l’energia positiva del mattino a cui dedicare attività che permettano di sentirsi bene: un modo per
iniziare la giornata portando con sé la gioia per le piccole cose.
CAPITOLO TERZO - I vantaggi del pensare in piccolo
Spesso i turisti che si recano in Giappone parlano dell’alta qualità dei servizi, della presentazione e
attenzione dei dettagli.
Questa ricerca di beni e servizi di qualità è legata al concetto di kodawari.
Letteralmente si associa a impegno/dedizione/caparbietà, ma il suo vero significato sta a indicare uno
standard personale a cui una persona si attiene con tenacia e per il quale esprime orgoglio. Una
persona perché il kodawari è di natura strettamente personale.
Diviene quindi facile collegare questo pensiero al primo pilastro dell’ikigai, ovvero cominciare in piccolo.
Cominciare in piccolo è lo spirito che anima i ramen shop giapponesi, pienamente appoggiati dalla
clientela indigena. E se il kodawari può portare all’eccesso di inflessibilità, spesso invece il kodawari è
parte integrante di una corretta comunicazione, che spesso si associa a un’attività compiuta bene, infatti
nel succitato esempio del negozio di ramen, il sorriso al cliente è essenziale.
Il kodawari aiuta a porsi degli obiettivi che possono essere anche più alti di quelli realisticamente
espressi dai dati, ad esempio dei dati sul mercato. Infatti la continua ricerca di qualità non sempre pare
commisurata ai risultati ottenuti o che possano superare un certo livello, proprio del mercato in cui si
opera. Invece è proprio con il kodawari che si può ottenere il miracolo di migliorare ancora, e
incredibilmente, gli standard qualitativi.
Questo vuol dire anche vi sono meloni che vengono coltivati scegliendo un unico frutto di qualità,
rinunciando a tutti gli altri frutti di qualità. Questo per ottenere un frutto, certo, di alta qualità, tuttavia
anche qualcosa di effimero, essendo commestibile. E quindi questo unisce il pilastro “cominciare in
piccolo” per attraversare tutta il kodawari e giungere quindi a godersi il frutto, ovvero nel pilastro del
“stare qui e ora”, assaporando un frutto sublime.
Lo spirito di adattabilità giapponese, inoltre, ha dimostrato innumerevoli volte di poter includere in
pratiche di kodawari anche concetti nati all’estero, il più famoso è lo sport del baseball, importato
dagli USA e divenuto sport di interesse nazionale.
In conclusione, l’ikigai si sposa perfettamente con le menti giovani e fresche, che puntano all’eccellenza
anche partendo da basi umili.
CAPITOLO QUARTO - La bellezza sensoriale dell’ikigai
Nella lingua giapponese esistono tantissime espressioni onomatopeiche. Le si usano principalmente
per descrivere le pietanze, ma sono comunque talmente diffuse da essere usate giornalmente anche
in contesti lavorativi. Questo dimostra come vi siano una forte relazione tra il simbolismo sonoro e la
percezione del mondo, qui suddivisa in moltissime sfumature e sottigliezze sensoriali.
In Giappone, inoltre, viene dato molto risalto alla produzione di articoli prodotti in modo originale, infatt
l’artigianato, il rendere unico ogni pezzo dandone la giusta cura, contiene in sé aspetti dell’ikigai. Ciò
comporta che non solo l’artigiano mette cura nel suo lavoro, ma anche il consumatore comprende
benissimo il lavoro che c’è dietro ad ogni singolo prodotto.
Ciò si riflette anche nel commercio del grande consumo. Se il Giappone ha perso terreno nel campo
dell’elettronica di consumo, resta sempre un’eccellenza nell’ambito di apparecchiature altamente
sofisticate, ad elevato grado di coordinamento delle procedure.
Dell’apprezzare le piccole cose, troviamo riscontro già in testi dell’anno 1000, dove Sei Shonagon,
dama di corte, si dilunga con meticolosa attenzione sulle minuzie, come il viso di un bambino dipinto,
il richiamo di un passerotto. L’uso di termini semplici, senza usare espressioni altisonanti, ancora più
mostrano la capacità di un altro dei pilastri dell’ikigai, ovvero stare nel qui e ora.
Un altro pilastro dell’ikigia è il dimenticarsi di sé. In questo possiamo vedere la spensieratezza del
bambino quando gioca, il quale non conosce l’ikigai, ma semplicemente resta in quello che fa e si
dimentica del sé. La dimenticanza di sé è una delle chiavi del buddismo zen, che va di pari passo con
l’apprezzamento del presente. Può essere che per essere accettati come discepoli in un monastero,
l’aspirante debba attendere giorni davanti al cancello, anche sotto la pioggia battente. Se può apparire
come una tecnica intimidatoria, questa pratica dimostra invece chiaramente come si voglia coltivare
sin dall’inizio la negazione di sé. Nei tempi del buddismo zen non esiste una meritocrazia, non si viene
valutati in base a ciò che si fa. Anche il compito più lodevole ed eseguito nel modo più efficiente, porta
comunque tutti ad essere considerati in modo uguale, come apprendisti. L’individualità non ha alcuna
importanza in quei luoghi.
E qui ci ricolleghiamo al concetto di onomatopea come capacità di immergersi nel mondo sensoriale:
è allegerendoci del peso dell’Io, possiamo aprirci all’universo infinito dei piaceri sensoriali.
CAPITOLO QUINTO - Flusso e creatività
“Negazione di sé” contiene la parola negazione, a cui comunemente diamo un’accezione negativa,
tuttavia l’ikigai porta a vedere la fatica quotidiana come piacere, e aiuta quindi ad abbondare
(a negare) il bisogno di ricompensa, di riconoscenza, aiuta a fare quello che piace senza dover
rincorrere gratificazioni dall’esterno.
Possiamo trarre piacere dal lavoro quando esso è un fine in sé, anziché un qualcosa per ottenere
altro, si rimane così in un flusso in cui si è talmente immersi che il resto non ha importanza.
Quindi da una parte coltiviamo sani desideri e ambizioni, dall’altra dobbiamo essere capaci di entrare,
con il nostro lavoro, nel succitato flusso. In questo aiuta avere in chiaro i propri obiettivi, anche se
composti di piccole cose.
Il dimenticarsi di sé ha portato gli artigiani del passato a creare opere uniche, in cui la ricerca di
perfezione, di unicità, al di fuori di un riconoscimento personale ha un sapore diverso delle opere
industriali moderne. Stare nel flusso significa operare al fine dell’opera stessa, stare in un atto creativo,
realizzando quindi appieno il concetto di stare nel qui e ora. Infatti nella vita dell’artista dilettante, a cui
non importa se e quanto verrà venduta la sua opera, si trova in modo evidente la passione di stare in
un flusso di lavoro creativo.
Forse la differenza di filosofia tra Giappone e Occidente è legato al concetto cristiano di fatica come
male necessario per ottenere qualcosa, mentre in Giappone il lavoro ha un valore positivo in sé.
D’altronde, se prestiamo attenzione ai piccoli dettagli di ciò che viviamo, ci rendiamo subito conto di
come ogni istante sia unico e speciale, che nulla si ripete mai.
In Giappone c’è un’usanza che riesce a condensare tutti e cinque i pilastri dell’ikigai: la cerimonia del
tè.
Il maestro addobba la stanza, partendo dai particolari anche di tappezzeria (partire in piccolo).
Il maestro, nonostante possa avere anni di esperienza, affronta ogni cerimonia con umiltà
(dimenticarsi di sé).
Ogni pezzo di porcellana è scelto con cura affinché possa sposarsi con l’altro (armonia e
sostenibilità).
Scopo della cerimonia del té è creare un momento piacevole grazie a stimoli sensoriali dati anche
dalla stanza stessa (la gioia delle piccole cose).
E si gusta questo momento accogliendo gli stimoli sensoriali del momento (stare nel qui e ora).
Ciò ci mostra come vivere in armonia con il prossimo e l’ambiente è parte essenziale dell’ikigai. È
tramite una sensibilità sociale, tramite la dimostrazione del proprio ikigai, che può nascere un libero
scambio di idee che portano al miglioramento dell’ikigia di ciascuna parte di un gruppo.
Come abbiamo visto, non sempre può esserci un riconoscimento adeguato ed immediato rispetto a ciò
che facciamo. Quindi invece di aspettarci gratificazioni future, stando nel qui e ora possiamo fare del
lavoro stesso la nostra gioia e la nostra soddisfazione.
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